Arriviamo oggi a parlare del secondo anniversario televisivo che ricorre nel mese di dicembre, e se qualche giorno fa abbiamo parlato di una serie popolare ma dall’impatto culturale limitato, oggi invece celebriamo una serie che ha fatto la storia della serialità televisiva e ha contribuito a plasmare l’immaginario del mondo in cui viviamo. I Simpson debuttavano negli Stati Uniti il 17 Dicembre 1989 con l’episodio Un Natale Da Cani (siamo anche in tema con l’argomento della sequenza, quindi!), e colpiscono immediatamente l’annoiato pubblico televisivo, sia positivo che in negativo: una delle caratteristiche de I Simpson, infatti, è quella di non passare mai inosservato, polarizzando irrimediabilmente le posizioni tra chi odia gli omini gialli di Matt Groening e chi invece li ama.
I Simpson nascono come cortometraggi di pochi minuti inseriti nel varietà Tracy Ullman Show, nel 1987. I personaggi sono già ben delineati nelle loro personalità, mentre, visto oggi, il tratto grafico non può che sollevare qualche perplessità: Matt Groening, infatti, si era limitato ad abbozzare i protagonisti dando per scontato che gli animatori avrebbero ripulito e sistemato i modelli prima di usarli nelle animazioni, cosa invece non fecero. I cortometraggi ebbero talmente successo che venne ordinata una stagione di prova da tredici episodi, per la quale i protagonisti ottennero il loro design definitivo e il loro universo fu notevolmente ampliato con l’aggiunta di un nutrito cast di supporto destinato ad ampliarsi sempre di più con il passare degli anni. La Fox nutriva moltissimi dubbi sulla serie, siccome temeva da un lato che i personaggi non potessero reggere la normale durata di uno show di mezz’ora, e dall’altro la reazione del pubblico di fronte a personaggi così grotteschi; preoccupazioni infondate, dal momento che I Simpson si dimostrò immediatamente un enorme successo che si replica, invariato, ancora oggi. Nel corso degli anni, e dei decenni, di programmazione, I Simpson ha toccato una varietà enorme di argomenti, sebbene sia oggi molto evidente la fiacchezza che caratterizza la serie, apparentemente incapace di continuare a parlare del mondo che la circonda.
Sebbene sia strutturata come una normale sit-com, infatti, I Simpson ha dimostrato fin dal suo esordio un interesse inesauribile per l’attualità, la politica, i valori etici e le idiosincrasie degli Stati Uniti, mettendo il tutto sotto la lente deformante della satira e della comicità. Il grande pregio de I Simpson, infatti, è stato quello di rendere digeribili violente critiche e vibranti messaggi di protesta grazie all’involucro di comicità che avvolgeva e nascondeva questo nucleo tematico: spesso, in gran parte degli episodi, prima si ride, come reazione immediata alle battute, poi si riflette e si realizza che sotto la comicità c’è un messaggio serio che gli autori vogliono trasmetterci. Uno show serio non deve necessariamente essere triste, e I Simpson ne sono la dimostrazione: mentre ci fanno ridere ci mettono costantemente di fronte al peggio di noi, ci raccontano quello che non va nel mondo, denunciano i nostri vizi e le mille, piccole, malsane abitudini che hanno contribuito a rendere così tossico il nostro mondo contemporaneo. Guardando I Simpson, lo spettatore si trova a guardare sé stesso in una versione caricaturale, ed è portato a riderne senza prendere sul serio né sè stesso né il mondo in cui vive; sta poi a lui decidere se e come migliorarsi.
Al contrario dei moltissimi epigoni nati sulla sua scia, infatti, I Simpson offrono sempre una piccola catarsi finale, un lieto fine in cui l’ordine viene ristabilito. Nelle storie, i personaggi danno sfogo al peggio di loro, ma gli episodi si concludono sempre con una nota positiva, un trionfo dell’ordine sul caos, del bene sul male: non importa quanti danni abbiano combinato Homer e Bart, quante persone abbiano ferito nelle loro avventure, quanto si sia spinta oltre Lisa nelle sue crociate morali, alla fine tutto si risolve; ad esempio, Homer, per gelosia, fa fallire il negozio di Flanders, ma poi corre in suo soccorso nel momento in cui capisce di essersi spinto troppo in là. È in questa dialettica tra il bene e il male che I Simpson, al contrario di I Griffin o South Park, ad esempio, si propone come una guida per gli spettatori, riprendendo la tecnica della morale alla fine della storia: I Simpson ci insegnano sempre qualcosa, su chi siamo o come dovremmo essere, nonostante la superficiale cafonaggine delle trame.
La principale critica che è sempre stata mossa alla serie, infatti, è quella riguardante la sua volgarità, una volgarità spesso molto più profonda di quella verbale. Al contrario della maggior parte delle sit-com, infatti, I Simpson ha sempre fatto largo uso del turpiloquio, e si sono sempre visti i vari personaggi indulgere nei piaceri più grossolani: i Simpson bevono e si ingozzano, ruttano e si grattano, sono sguaiati e violenti, ignoranti e fieri di esserlo senza alcun desiderio di miglioramento. Quando dicevo che rappresentano il peggio di noi lo fanno fino in fondo, mettendo in scena i comportamenti meno edificanti, ma purtroppo più diffusi, che tutti quanti abbiamo; ad esempio, è stata la prima serie a mostrare dei personaggi sempre incollati al televisore o che si strafogano di cibo spazzatura, per non parlare, ovviamente, delle mille cattiverie quotidiane che caratterizzano i rapporti tra i personaggi. Il disagio che molto provano di fronte a I Simpson è quindi spesso molto più profondo del fastidio per una parolaccia, ed è l’imbarazzo del sentirsi dire la verità, una verità che tutti conosciamo nel profondo ma che nessuno ha il coraggio di dire, soprattutto a sé stesso.
Per fare tutto questo è necessario un grande cast, e I Simpson ha saputo costruirne uno enorme. La città di Springfield è un microcosmo perfettamente disfunzionale popolato da decine di personaggi ricorrenti, ognuno ottimamente inserito nel substrato sociale della popolazione, dando vita a un cast corale di tipi fissi in grado di adattarsi a ogni circostanza. La tipizzazione dei personaggi fa sì che essi siano immediatamente riconoscibili e li rende allo stesso tempo straordinariamente malleabili tra le mani degli sceneggiatori, che hanno così a disposizione ogni volta il carattere giusto per la storia che vogliono raccontare. Springfield è un ambiente vivo e vitale popolato da personaggi sempre più famigliari, che con la loro ricorrenza dà l’illusione di una città reale: non è raro trovare Skinner o Chalmers allo stadio, così come alle assemblee cittadine intervengono quasi tutti gli abitanti della città, anche solo per apparire senza battute. I Simpson ha il cast corale più ampio della televisione, un cast che nel corso degli anni è stato sempre più approfondito ma che non è mai venuto meno al suo compito di avatar per lo spettatore.
Fino ad ora. Perché è evidente che dopo tanti anni I Simpson non sono più in grado di raccontarci con la stessa arguzia e brutale onestà delle origini; la serie che così spesso ha saputo preannunciare il futuro, azzeccandoci talvolta in modo inquietante, semplicemente non è riuscita a stare al passo con il presente, a rinnovarsi abbastanza velocemente insieme al mondo sempre più veloce che lo circonda. Il presente, nella serie, è spesso un feticcio, vengono usati apparecchi tecnologici e si parodizzano icone pop contemporanee, ma non sono più problematizzati in modo sistematico e profondo come era abitudine alla nascita della serie. Un declino di spirito e scrittura ormai evidente agli occhi di tutti, e che sancisce una triste verità: forse I Simpson ha esaurito i suoi argomenti, i personaggi a disposizione hanno già detto tutto quello che avevano da raccontare, e non è un caso, forse, se i cammei di personaggi famosi sono diventati sempre più frequenti, spesso inseriti in trame improbabili che nulla hanno di quotidiano. I Simpson devono la loro fortuna alla loro capacità di raccontare il mondo e le persone di tutti i giorni; nel momento in cui hanno iniziato ad allontanarsi dal quotidiano e cercare altrove la loro ispirazione, paradossalmente, hanno iniziato a inaridirsi e perdere la carica iconoclasta che li aveva resi così scomodi ma necessari.
I Simpson hanno comunque segnato non solo la televisione, ma anche il nostro mondo IRL. I suoi personaggi sono entrati nell’immaginario comune, al punto che spesso è sufficiente citare un nome per evocare nella mente un universo di significati, le loro esclamazioni sono entrate nel vocabolario corrente di molti di noi e diversi episodi sono ancora oggi citati tra i migliori della storia dello spettacolo. Sempre più spesso si parla di una prossima chiusura della serie, che con i suoi quasi settecento episodi è tra le più longevi nella storia, ma le affermazioni sono talmente contraddittorie da non lasciare nulla di certo, se non che alla grafica sempre più raffinata si sono accompagnate sceneggiature sempre meno intelligenti e ironiche. Purtroppo, perché in un mondo sempre più in crisi come il nostro c’è bisogno come mai in passato de I Simpson al massimo della loro forma, per continuare a mostrarci cosa stiamo diventando e quale strada percorrere.
___
-10: Marathon Day: Lilli e il Vagabondo
I Simpson è stato un cartone che mi ha accompagnato dall’infanzia e quando ero piccolo ammetto di non averlo capito bene. Crescendo invece mi è diventato molto più chiaro la satira nei confronti degli USA e il modo intelligente di trasporlo. Una serie molto intelligente che verrà ricordata per sempre.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Io l’ho scoperto piuttosto avanti per il semplice motivo che ai miei non piaceva e quindi non ho avuto il permesso di vederlo fino al momento in cui ho potuto far valere la mia volontà sul telecomando.
Comunque sono assolutamente d’accordo, è una serie intelligentissima che resterà per sempre nella memoria di tutti.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Intravedo un’altra ragione alla base del declino dei Simpson, ovvero il fatto che con il tempo sono diventati sempre meno volgari e politicamente scorretti. Il motivo per cui li hanno “ripuliti” è evidente: sono nati come cartone per adulti (un po’ come Beavis & Butthead), ma con il tempo hanno cercato di intercettare anche il pubblico infantile, e per riuscirci dovevano necessariamente “ammorbidirsi” un po’. Ad esempio, negli anni 90 Grattachecca e Fichetto apparivano di continuo e facevano sempre cose violentissime, ora sono stati totalmente accantonati. Il guaio è che il tratto distintivo dei Simpson, ciò che li distingueva e li faceva risaltare in mezzo a tutti gli altri cartoni era proprio il fatto che fossero politicamente scorretti: nel momento in cui si sono stemperati sono diventati praticamente identici a qualsiasi altro cartone, e quindi hanno perso buona parte del loro fascino.
Poi ovviamente c’è anche il problema che hai detto tu, ovvero la crisi di ispirazione degli sceneggiatori, ma questo è comprensibile e fisiologico: dopo 30 stagioni è davvero difficile inventarsi qualcosa che non sia già stato fatto nelle centinaia di episodi precedenti.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grattachecca e Fichetto, secondo me, hanno fatto la stessa fine di altre gag storiche, come gli scherzi telefonici di Bart a Boe e le conversazioni di Homer con il suo cervello: a lungo andare è diventato difficile trovare nuove battute e nuove cose da dire, per cui piano piano sono state accantonate. Questo non è un problema in sé, lo è che non si sia riusciti a trovare nulla con cui sostituirle lasciando che la serie diventasse sempre più piatta.
Sono d’accordo sull’ammorbidimento come causa del loro declino, sicuramente hanno perso molto fascino: non penso che per fare satira una serie debba essere necessariamente volgare (qualche giorno fa ho accennato a Clueless, che è una satira ferocissima del materialismo americano pur senza parolacce), ma era rinfrescante vedere messi in scena i peggiori difetti delle persone riuscendo a riderne. Quando hanno smesso di fare questo hanno smesso di parlare al proprio pubblico, e la qualità è colata a picco, diventando, come dici tu, un cartone animato qualsiasi. Io ho smesso da un po’ di seguire regolarmente I Simpson, credo che se dovessi tornare a farlo sarebbe solo in occasione dell’ultima stagione per vedere il finale in diretta.
"Mi piace""Mi piace"
Ti sei scordato un altro leit motif dei Simpson che con il tempo è stato accantonato: la faida tra Bart e Telespalla Bob. Quest’ultimo era uno dei comprimari più interessanti della serie, perché era uno dei pochi ad essere veramente cattivo, e non semplicemente squallido e immorale.
Ora che ci penso anche Telespalla Mel non lo vedo da una vita. Tuttavia, i Simpson li ho sempre seguiti in maniera sporadica, quindi può darsi che sia apparso in qualche puntata che mi sono perso.
Anzi, te la dico tutta: li ho sempre seguiti in maniera sporadica, e ho smesso totalmente di seguirli da quando mandarono in onda una puntata più blasfema che mai. In quell’episodio i Simpson andavano in Paradiso, e scoprivano che Gesù era entrato in uno stato catatonico dopo tutti i soprusi che aveva subito nella Sua vita terrena. Una gag offensiva, inutile e soprattutto che non faceva ridere: per me i Simpson sono morti lì.
"Mi piace""Mi piace"
Credo di avere capito a quale scena ti riferisci, ma a dirti la verità io non l’ho trovata offensiva (e lo dico da credente): mi sembra realizzata senza intenzione di urtare nessuno, con innocenza. In realtà è difficile che io mi offenda, se una cosa simile accade vuol dire che la battuta è stata davvero pesante.
"Mi piace""Mi piace"
A prescindere dalla scena in sé, quell’episodio conferma uno dei motivi del declino dei Simpson che hai elencato nel tuo post: la serie si è allontanata sempre di più dalle situazioni di vita quotidiana, per lasciare il posto a situazioni inverosimili e quasi sempre non particolarmente interessanti. Se nelle prime stagioni uno sceneggiatore dei Simpson fosse saltato su dicendo “Ehi, ambientiamo una puntata in Paradiso!”, i suoi superiori l’avrebbero licenziato in tronco.
"Mi piace""Mi piace"