Netflix entra prepotentemente nelle celebrazioni natalizie e sbaraglia l’intera concorrenza distribuendo un film che può entrare di diritto tra i classici cinematografici di Natale. Klaus, scritto e diretto da Sergio Pablos al suo debutto alla regia, è un film dolce e coloratissimo, vivace, frizzante e pieno di quella bontà genuina che, senza essere stucchevole, corrobora la tua fiducia nell’umanità. E sa il cielo se a volte non ce n’è bisogno!
Protagonista del film è Jesper, il peggior allievo all’accademia per postini. Per rimetterlo in carreggiata, il padre decide di metterlo di stanza su un’isola sperduta nel circolo polare artico, dove da tempo immemorabile la popolazione, divisa in due schieramenti capeggiati dalle famiglie Ellingboe e Krum, si combattono in una eterna faida. Dopo essersi scontrato con la pestifera popolazione locale, Jesper fa la conoscenza di Klaus, un solitario giocattolaio che vive nel bosco; un po’ per caso e un po’ per malizia, Jesper mette in circolo la voce che se i bambini si comporteranno bene riceveranno in dono un giocattolo, mettendo in moto un circolo virtuoso di buone azioni che cambieranno lentamente il volto dell’isola. Qualcuno, però, trama nell’ombra perché la faida continui…
Klaus è una storia sulle origini del Natale e sulle sue principali tradizioni, come scambiarsi doni o essere sempre più buoni. Il personaggio di Babbo Natale ottiene una origin story originale e sentita, emozionante, che non ha nulla di magico se non la magia che deriva da un atto di generosità in grado di generarne altri a cascata. Una storia molto semplice e molto lineare, quasi prevedibile che ho sentito molto criticata proprio per la sua linearità; è vero, Klaus non è sicuramente il film più innovativo dell’anno, il personaggio di Jesper ha un arco evolutivo che vedi già tracciato di fronte a lui nel momento stesso in cui entra in scena e il finale agrodolce lo vedi arrivare da lontanissimo. Eppure c’è qualcosa, in questo film, che gli consente di arrivare a segno.
Klaus è un film che ha un cuore, un cuore grosso e palpitante che, come quelli degli abitanti dell’isola, aspetta solo di essere alimentato nel modo giusto. Se la trama ruota intorno alla figura di Babbo Natale, sebbene non sia mai esplicitamente chiamato così, il film parla in realtà del potere della gentilezza e la capacità che un gesto disinteressato ha di avvicinare le persone. I bambini, per avere i regali di Klaus, iniziano a comportarsi sempre meglio spezzando improvvisamente la catena di odio che divideva da generazioni gli abitanti dell’isola. Quello che nasce come gesto interessato, volto unicamente a ottenere un giocattolo, viene però molto in fretta imitato dagli ignari adulti, che seguendo il loro esempio cominciano a scambiarsi favori e cortesie, inizialmente in modo maldestro e impacciato e poi con sempre maggiore sicurezza, fino a cambiare radicalmente l’aspetto della città, che da cupa e trasandata diventa un posto luminoso e accogliente. Un lavoro da parte di Pablos che sembra riversare tutte le sue speranze e fiducie proprio sui bambini e i giovani, visti da lui come l’unica salvezza possibile per il mondo: non è un caso, forse, che mentre i bambini si dedicano sempre più entusiasticamente alla loro crociata di generosità siano proprio gli adulti e i vecchi a tramare contro di loro, a temere il cambiamento che i giovani portano e rimpiangere uno status quo dannoso e immorale. Un copione che vediamo fin troppe volte all’opera nel mondo reale, e che Pablos mette in scena in modo magistrale, condannando il cinismo dei potenti che vorrebbero veder fallire qualsiasi iniziativa positiva a favore dell’immobilismo.
Jesper condivide il suo percorso con la città stessa, intraprendendo un viaggio che lo porta, da giovane viziato ed egoista, a diventare generoso e capace di amare il prossimo; il suo è il classico viaggio dell’eroe, che attraverso una serie di sfide porta il protagonista ad evolvere e diventare una persona migliore. Anche nel suo caso l’inizio del percorso è dettato dall’egoismo, dal momento che vede nella distribuzione dei regali un modo di guadagnare lettere da consegnare e, quindi, raggiungere più velocemente l’obiettivo impostogli da raggiungere per poter lasciare l’isola, ma ben presto anche lui si lascia contagiare dall’ottimista frenesia della città e mette le sue energie al servizio della popolazione senza nulla volere in cambio. Jesper è un personaggio che evolve molto lentamente ma in modo drastico, e riesce ad apparire credibile i qualsiasi momento del suo percorso, perfino nelle fasi iniziali, quando il rischio di apparire grottesco o volgare è molto più alto.
L’animazione è eccezionale, capace di miscelare l’artigianato dell’animazione tradizionale con un look contemporaneo e straordinariamente tridimensionale. Pablos ha lavorato moltissimo con le luci e le texture per superare i limiti del disegno 2D, dando vita a una grafica originale che sembra uscita dalle illustrazioni di un libro per bambini. I personaggi sono molto carismatici anche visivamente, e i fondali superbi immergono lo spettatore immediatamente nella storia, soprattutto nel momento in cui Jesper arriva per la prima volta sull’isola, con una città plumbea e cupa, sinistra e misteriosa che sembra uscita da un film di Tim Burton per le sue linee sghembe e l’umorismo nero e cinico che adotta.
Klaus è un film bellissimo, che ti scalda il cuore come in una coperta di plaid. La distribuzione su Netflix, paradossalmente, lo ha fatto entrare direttamente nelle case della gente ma gli ha negato quel riconoscimento pubblico che solitamente viene tributato ai film che passano per la sala cinematografica. Un peccato, considerata la qualità del prodotto, e mi auguro che la piattaforma possa rimediare in qualche modo prima delle nomination degli Oscar: mi piacerebbe molto vedere Klaus concorrere alla statuetta, e magari soffiarla a una Disney con fin troppe frecce al suo arco!
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