In questa breve sequenza di articoli sto parlando un sacco di animazione; se mi fossi reso conto in anticipo di questa particolarità avrei potuto rendere la serie di post monotematica, ma ormai è tardi; pazienza. Oggi ti parlo di una serie di cortometraggi che guardavo sempre da piccolo in occasione delle feste natalizie: erano registrati su una videocassetta etichettata semplicemente con “Cartoni animati di Natale”; ovviamente allora non potevo sapere da dove venissero e quando fossero stati fatti, ma sapevo che erano molto diversi da qualsiasi altra cosa vedessi in televisione.
Adesso so che si trattava di cortometraggi realizzati tra gli anni Trenta e Quaranta da autentici maestri del genere, nomi che hanno contribuito in modo significativo all’evoluzione della tecnica come Ub Iwerks, storico collaboratore di Walt Disney, e Dave e Max Fleischer, creatori di celeberrimi personaggi come Popeye e Betty Boops. I corti appaiono inevitabilmente molto datati, sia nel tratto che nella narrazione, ma mantengono ancora intatto il fascino suggestivo che avevano al momento della loro uscita e che mi incantava da piccolo. Tutti i film di cui ti parlo sono disponibili su youtube e possono essere visti gratuitamente.
Christmas Comes But Once A Year
Christmas Comes But Once A Year è uscito nel 1936 come parte della serie Color Classics, per la regia di Dave Fleischer. Si tratta di un corto molto breve (meno di dieci minuti), ma dalla narrazione solida e vivace, ricco di trovate intelligenti e dal tema dolcissimo. La storia è ambientata in un orfanotrofio, dove i bambini si svegliano la mattina di Natale solo per scoprire che i giocattoli ricevuti in dono cadono a pezzi non appena provano a usarli. Attirato dal pianto dei bambini, un anziano inventore penetra nel palazzo e riciclando oggetti comuni costruisce nuovi giocattoli, per poi organizzare una bellissima e allegra festa per i bambini.
Come anche nel successivo Somewhere in Dreamland, non a caso dello stesso anno, Christmas Comes But Once A Year tratta il tema drammatico della Grande Depressione e della miseria dilagante che si accaniva anche, e soprattutto, sui più deboli e i più indifesi, come i bambini. I piccoli orfani non sono vittime di abusi e non sono maltrattati; semplicemente, i doni che gli sono stati portati probabilmente dai loro tutori all’orfanotrofio, che probabilmente null’altro potevano permettersi, erano talmente scadenti da rompersi immediatamente. Una condizione drammatica e, mi viene da dire, tristemente realistica, disinnescata, però, dall’inventiva e la simpatia di Grampy, capace di dare vita a una festa gioiosa e ricca di divertimento. La sequenza della costruzione dei giocattoli è sempre stata una delle mie preferite dell’intera videocassetta, così come il momento in cui i bambini cominciano a giocare con gli improbabili doni del vecchio.
Christmas Comes But Once A Year è una storia semplice ma dolcissima, capace di farsi perdonare anche le ingenuità artistiche come il design dei bambini, tutti identici l’uno all’altro perché realizzati con il medesimo template.
Hector’s Hectic Life
Questo è veramente delizioso. Hector’s Hectic Life esce nel 1948 per la regia di Bill Tytla, e recupera lo stile tipico dei cartoni animati di Tom & Jerry per le scaramucce domestiche tra animali. Hector è un cane pigro e disordinato, che è sul punto di passare il limite: la sua padrona lo minaccia che, se ne combinerà ancora una, lo caccerà di casa, al freddo dell’inverno. Hector decide quindi di mettere la testa a posto, se non fosse che gli arriva un inaspettato regalo: tre pestiferi cuccioli che iniziano subito a mettere a soqquadro la casa.
Hector’s Hectic Life è un corto vivacissimo, dal ritmo incalzante e l’animazione eccezionale. I personaggi hanno personalità e carisma, le situazioni in cui si trovano, sebbene non innovative, sono gestite molto bene e capaci di guidare anche la piccola evoluzione che il nostro protagonista subisce nel finale. Hector, da cane egoista e pigro, impara ad assumersi le sue responsabilità e a prendersi cura degli altri, in questo caso di tre cuccioli che, intuisce subito uno spettatore più grande, sono il frutto imprevisto di una scappatella. E’ molto divertente e ben fatto, insieme al successivo Jack Frost era uno dei miei preferiti.
Jack Frost
Diretto magistralmente da Ub Iwerks e uscito nel 1934, Jack Frost era il mio preferito dell’intera selezione per l’atmosfera spaventosa che assumeva nella seconda parte. Siamo alle soglie dell’autunno, e gli animali del bosco ricevono un avvertimento da Jack Frost, il folletto che con pennello e tavolozza colora di rosso le foglie degli alberi: devono muoversi a trovare un riparo, perché il Vecchio Inverno sta arrivando! Tutti gli animali fuggono nelle tane, tranne un piccolo orsetto che, sordo agli avvertimenti della madre, decide di fuggire; purtroppo per lui, appena fuori dalla porta di casa lo attende un terrificante incontro…
Jack Frost ha il sapore eccitante delle vecchie fiabe, quelle che sai finiranno bene ma riescono comunque a metterti paura. L’animazione è essenziale ma ricca di dettagli, e i personaggi perfettamente caratterizzati con pochissimi tratti; ad esempio, scopriamo subito il carattere caparbio dell’orsetto nel momento in cui si intestardisce a voler saltare sulla schiena di un compagno molto più grande giocando alla cavallina. La sequenza dell’arrivo del Vecchio Inverno, poi, la trovavo semplicemente terrificante: uno spaventapasseri si anima e improvvisa un balletto, solo per poi immobilizzarsi e ricoprirsi di neve; alle spalle dell’orsetto, che assiste impotente alla scena, appare poi il mostruoso Inverno, che inizia a inseguirlo.
Jack Frost è una piccola storia con una morale molto chiara (obbedire ai genitori), capace di ricreare le atmosfere vagamente sinistre e morbosamente macabre che caratterizzano le storie dei Grimm. Se devi sceglierne uno da vedere, tra tutti quelli di cui ti parlo, guarda assolutamente questo!
Somewhere in Dreamland
Secondo corto diretto da Dave Fleischer sempre nel 1936, mette nuovamente in scena le privazioni a cui erano sottoposte le famiglie più povere durante la Grande Depressione. Due bambini, miseramente vestiti e con poco o nulla da mangiare, soddisfano tutti i loro desideri in un viaggio onirico nel mondo chiamato, appunto, Dreamland, in cui, soprattutto, trovano cibo in abbondanza. Il vero miracolo, però, li attende al risveglio: preoccupati per le loro condizioni, le persone della loro città hanno organizzato per loro un banchetto a sorpresa, preparando una serie di leccornie con cui calmare finalmente la fame.
Da piccolo non ci facevo caso, ovviamente, ma Somewhere in Dreamland è sicuramente il corto più drammatico e commovente dell’intera selezione. Fleischer mette in scena due bambini che muoiono letteralmente di fame ma hanno comunque la forza d’animo di negare la loro condizione per non ferire ulteriormente la madre, disperata per non poterli nutrire, e che hanno come unica consolazione temporanea il mondo dei sogni. Si potrebbe quasi parlare di neorealismo magico, o fantastico, per la contrapposizione tra il realismo con cui la condizione dei protagonisti è dipinta e la visionarietà delle consolatorie sequenze oniriche.
La vera magia, però, è quella che scaturisce dal cuore delle persone. Per una volta, chi ha di più mette la propria ricchezza al servizio dei bisognosi e prepara un dono meraviglioso senza secondi fini. Natale, in fondo, significa soprattutto questo, aiutare chi ne ha più bisogno e fare la propria parte per alleviare la sofferenza degli ultimi, per cui Somewhere in Dreamland, sebbene non esplicitamente natalizio, rientra perfettamente in questa lista.
Rudolph the Red-Nosed Reindeer
Diretto non da Dave, ma da Max Fleischer al suo ultimo lavoro prima del ritiro, Rudolph the Red-Nosed Reindeer era quello che trovavo meno affascinante e subivo quasi passivamente. La storia è basata sull’omonima poesia del 1939 scritta da Robert L. May, e mette in scena la mitologia di Babbo Natale riguardo le renne. È la notte di Natale, ma Babbo Natale non può partire a causa di una fitta nebbia che impedisce alle sue renne volanti di trovare la strada. Per fortuna la sua attenzione è attirata dal naso luminoso di Rudolph, che da bersaglio dei suoi compagni diventa un eroe nel momento in cui riesce a fare strada alla slitta.
Di nuovo abbiamo una storia molto semplice e lineare, animata in modo superbo e con un bellissimo messaggio di riscatto: prima vittima di bullismo per la sua diversità fisica, Rudolph è infine trattato come un eroe quando la sua particolarità permette a Babbo Natale di compiere il suo lavoro e portare gioia in tutto il mondo. È una storia simpatica ed edificante, che non ho mai amato follemente ma che vale sicuramente la pena recuperare per il valore che ha Rudolph nella cultura di massa.
Santa’s Surprise
Arriviamo alla fine con l’ultimo cortometraggio, quello che chiudeva la videocassetta; siamo nel 1947, e il film presenta la regia di Seymour Kneitel. Santa’s Surprise è, vedendolo oggi, il cortometraggio potenzialmente più controverso di tutti, e quello che più di tutti risente del periodo storico in cui è stato realizzato. La notte di Natale volge al termine, e Babbo Natale, esausto, torna a casa dopo aver consegnato tutti i doni. Quello che non sa è che nella sua slitta si sono nascosti alcuni bambini provenienti da tutte le parti del mondo, che per ringraziarlo dei regali decidono di ripulire e riordinare la sua casa.
Ancora una volta abbiamo un corto dalla narrazione molto solida, ricca di gag e trovate divertenti messe in scena con un’animazione eccezionalmente fluida e curata; tutto molto bello, se non fosse per un piccolo, ma cruciale, dettaglio: Santa’s Surprise è un corto intriso di razzismo. Nulla di eccessivamente scandaloso, ovviamente, ma a un occhio contemporaneo non può passare inosservato il modo in cui tutti i personaggi, ognuno appartenente a un particolare gruppo etnico, sia caratterizzato dai principali stereotipi della sua cultura, né che la leader sia, casualmente, la bambina bianca e americana, tra l’altro l’unica ad avere anche un nome.
Un peccato che questo difetto possa compromettere un film invece molto simpatico e con una buona trovata, l’idea che i bambini possano decidere di sdebitarsi con Babbo Natale. Purtroppo, la noncuranza che negli anni Quaranta si aveva nel mettere in scena stereotipi più o meno offensivi oggi pesa come un macigno su Santa’s Surprise, rendendolo probabilmente il meno popolare tra tutti quelli di cui ti ho parlato.
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-10: Marathon Day: Lilli e il Vagabondo
E il canto di Natale di Topolino??
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Non c’era in quella videocassetta! In realtà Il Canto di Natale di Topolino l’ho visto ma non è mai stato un classico della mia infanzia
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ah
che triste infanzia ❤
per me è il caposaldo **
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Finalmente ho ritrovato questi cartoni.. ormai li vivevo come un sogno, un ricordo che sfuma piano piano.. chissà quella cassetta dove è sparita.
Qualcuno si ricorda dove si comprava?
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Ciao! Sono felice di averti fatto riscoprire questi cartoni, quasi quasi iniziavo a temere di conoscerli solo io!
Purtroppo non so nulla della cassetta originale, io li guardavo registrati su una di quelle cassette che si compravano vergini al supermercato; ho idea che i miei genitori avessero duplicato il video.
Se qualcuno l’avesse originale, però, ormai sarebbe davvero un pezzo vintage!
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Non so come ringraziarti anche io per avermi permesso di ritrovarli….sentire quelle colonne sonore mi ha balzato indietro di trent’anni, senza contare che con il passare del tempo non pensavo li avrei ritrovati
Grazieeeee
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Prego! Sono felice di averti fatto riscoprire un pezzetto di infanzia, era quello che speravo accadesse.
Buon anno!
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