Carlos Ruiz Zafòn, Il Cimitero dei libri dimenticati (2 di 2)

Mi rendevo conto, mentre scrivevo il post su Il Cimitero dei libri dimenticati, che ti stavo parlando in generale della saga ma che non sarei riuscito a parlarti dei singoli libri che compongono l’opera. Da un lato era normale che fosse così, visto che il mio scopo era proprio quello di parlare della saga, ma dall’altro mi dispiaceva non toccare uno per uno i romanzi: motivo per cui rieccoci, a breve distanza, a chiacchierare di nuovo della saga di Carlos Ruiz Zafòn.

L’autore ha sempre sostenuto, fin dall’inizio dell’opera, che la saga non avrebbe avuto un ordine di lettura obbligato, ogni romanzo funzionando come accessi diversi alla medesima, labirintica, storia. Io ho avuto la fortuna di leggere Il Cimitero dei libri dimenticati nel suo svolgersi, seguendo quindi l’ordine cronologico di pubblicazione e di conseguenza, immagino, l’ordine ideale con cui Zafòn l’ha concepita. Per questo motivo non posso sapere se a storia funziona effettivamente anche mescolando l’ordine di lettura, ma ammetto che la cosa mi lascia piuttosto scettico: ci sono elementi nell’ultimo romanzo che non possono avere lo stesso impatto su un lettore che non ha già conosciuto i personaggi e assistito alle loro vicende, senza contare che invertire l’ordine di lettura rischierebbe, secondo me, di confondere e ingarbugliare ancora di più una storia dalla cronologia già tutt’altro che chiara e lineare. Il mio consiglio è quindi quello di seguire l’ordine di pubblicazione, se non altro per un mero motivo cronologico.

L’ombra del vento.

L’ombra del vento è il primo romanzo della saga, e anche il mio preferito. Daniel Sempere ha dieci anni, e viene iniziato dal padre, libraio, ad uno dei più grandi segreti di Barcellona: nascosta nelle viscere della città esiste una labirintica e gigantesca libreria che accoglie e protegge tutti i libri dimenticati o perduti, in attesa di un proprietario. Durante la prima visita sceglie e porta a casa un libro che sembrava aspettare solo lui, e in un’intensa notte di lettura rimane stregato da uno scrittore di cui quasi nessuno ha mai sentito parlare: Julian Carax. Daniel inizia così una lunghissima indagine per scoprire l’identità del misterioso scrittore, andando a scontrarsi con segreti che avrebbero dovuto rimanere sepolti, amori perduti e immortali vendette.

L’ombra del vento è un libro straziante. Racconta una storia di solitudini, di nostalgie e di perdite, di sogni mantenuti in vita troppo a lungo ignorando la realtà e di una realtà che sfugge tra le dita di chi preferisce invece vivere in un mondo di illusioni. Sotto la superficie di thriller si trova un’analisi commovente e profonda dell’animo umano, delle passioni e delle illusioni della giovinezza che si scontrano con la durezza di un mondo spietato. La storia di Julian Carax, raccontata attraverso le confessioni di diverse persone e per questo parziale, è una storia di amore maledetto e di un odio immortale, due sentimenti opposti ma ugualmente capaci di stritolare le persone e distruggerle lentamente, prima emotivamente e, solo alla fine, fisicamente.

Misto di romanzo gotico e romanzo d’appendice, L’ombra del vento vanta un cast di personaggi eccezionali che si muovono tra i resti di ville abbandonate e spettrali ospedali, cattedrali nel deserto e vie palpitanti di vita, scrutati dai volti di pietra e dai resti di vite vissute e perdute. La presenza dei morti, dei ricordi e dei rimpianti è fondamentale quanto e più di quella delle persone vive, così che sopra a tutti aleggia un’atmosfera di nostalgia per un tempo e delle persone perdute per sempre.

Il gioco dell’angelo.

Il gioco dell’angelo parte da un presupposto opposto rispetto a L’ombra del vento: se lì il punto di partenza era la magia della lettura, ora lo spunto narrativo è la magia – e la maledizione – dello scrivere. David Martìn è uno scrittore in miseria che si guadagna da vivere pubblicando scabrosi romanzi d’appendice. Quasi portato alla morte da un tumore al cervello, viene avvicinato da un misterioso individuo, Andreas Corelli, che lo guarisce e gli commissiona un testo particolare, un Libro su cui fondare una nuova religione.

Prequel del romanzo precedente, intrecciato ad esso da un meccanismo brillante eppure assolutamente autonomo e autoconclusivo, questo secondo capitolo è molto diverso da L’ombra del vento. Ci troviamo in questo caso di fronte ad un narratore inaffidabile, a cui non possiamo credere assolutamente. Se Daniel ci racconta sempre la verità oggettiva che conosce, David diventa sempre più incapace di discernere i confini della realtà e dell’illusione, arrivando a raccontarci una sorta di ghost story dai tratti horror e soprannaturali, nonostante le buone intenzioni che lo muovono. Il labirinto rappresentato dalla città e dalla trama del libro diventa anche un dedalo di verità e di bugie, di elementi reali e apparizioni diaboliche tra cui né il narratore né il lettore riesce a districarsi; e se il narratore, ad un certo punto, decide di credere fino in fondo a ciò che vede e sperimenta con i sensi, il lettore ha la piena di libertà di decidere autonomamente qual è la verità, dal momento che il finale lascia aperta ogni questione.

Gli elementi fondamentali de L’ombra del vento tornano anche in questo episodio, come un’amore impossibile e maledetto, la perdita dell’innocenza e, soprattutto, le insostituibili atmosfere sinistre e suggestive allo stesso tempo, sebbene siano qui meno decisive: dal momento in cui il punto è lo sfumarsi del confine tra la realtà e la follia, la realtà, quando rappresentata, si trova a dover possedere connotati molto più precisi e concreti, sfuggendo la spettralità fantastica e quasi astratta del primo romanzo.

Il prigioniero del cielo.

Il prigioniero del cielo è un romanzo di transizione a cui spetta l’ingrato compito di colmare delle lacune e di consegnare indizi fondamentali per far proseguire la storia. Diventa quindi normale che si tratti del romanzo meno autocontenuto, quello che meno di tutti si regge in piedi da solo senza una cornice di riferimento; casualmente, si tratta anche del volume che mi è piaciuto meno.

Protagonista della storia è stavolta Fermìn, che, in procinto di sposarsi con Bernarda, viene avvicinato da un vecchio conoscente che sembra sapere molto del suo pericoloso passato. Questo incontro diventa l’occasione per un lungo flashback che ci mostra un Fermìn più giovane durante i torbidi anni della guerra civile, e che fa finalmente luce sui suoi trascorsi nel carcere di Montjuic, facendo contemporaneamente riemergere una terribile verità.

Il prigioniero del cielo è una storia molto più piccola delle due che l’hanno preceduta. In questo caso il focus è strettissimo su Fermìn, e solo accidentalmente veniamo a conoscenza dei fatti che riguardano altri personaggi, come David Martìn. Dopo essere stata più volte raccontata, finalmente viviamo la guerra civile nel suo svolgersi e nei suoi aspetti più orrorifici, come la reclusione nei carceri e la persecuzione degli oppositori da parte dei vincitori. La magia onirica dei primi volumi si prende qui una pausa, e ci consegna nelle mani di una realtà quantomai concreta e repellente, quasi quanto la personalità di Don Mauricio Valls, il grande villain della saga che fa qui la sua apparizione. Valls riesce nell’impresa di allacciare tutti i fili narrativi passati e futuri, legando Fermìn a Martìn e tutti quanti a Isabella e, di conseguenza, a Daniel.

Si tratta di un mosaico sorprendente quello che prende lentamente forma, in cui i tasselli iniziano ad avvicinarsi sempre di più. Purtroppo il libro in sé non ha i medesimi meriti, e la lettura si conclude con un certo amaro in bocca.

Il labirinto degli spiriti.

Per il suo gran finale la saga si presenta nel suo volume più ambizioso e complesso. Mauricio Valls è scomparso dopo aver ricevuto una serie di misteriose minacce firmare da David Martìn. Al caso indaga Alicia Gris, agente segreto dal passato torbido che finirà per incrociare la sua strada con i Sempere, i molti segreti che ancora nascondono, e la sete di vendetta di un Daniel più oscuro che mai.

Il labirinto degli spiriti è un’opera monumentale, forse troppo. La quantità di personaggi, storie e rapporti che vengono introdotti è talmente alta da rischiare di perdere completamente il filo del racconto; l’autore sembra esserne consapevole, dal momento che inserisce strategicamente dei riassunti per rinfrescare la memoria al lettore su elementi di cui non si ha traccia da qualche centinaio di pagine, momenti perfettamente giustificati nell’intreccio ma comunque delle decise ammissioni di colpa. Contrariamente a Il prigioniero del cielo, in questo caso il focus è talmente ampio da risultare a tratti, appunto, non a fuoco. Forse ci troviamo di fronte ad un caso in cui semplicemente c’è troppa carne al fuoco: troppi personaggi secondari a cui viene dedicato un approfondimento eccessivo, troppe linee narrative abbondantemente dettagliate, un’opulenza di storie e personalità che rischia di provocare un’indigestione anche al lettore più affezionato.

D’altro canto, ci viene regalata una protagonista femminile sensazionale. Alicia è una femme fatale da film noir, consapevole del suo fascino e di come usarlo, letale e spietata ma, allo stesso tempo, con un passato doloroso e una serie di handicap fisici ed emotivi che si trascina da tutta la vita. Come tutti i protagonisti, Alicia desidera solo la serenità e la felicità, ambizioni che dovrà pagare a caro prezzo come tutti i personaggi della storia, a partire da Daniel. L’ex bambino de L’ombra del vento è diventato un uomo duro e vendicativo, furioso con il mondo che gli ha strappato una delle persone che più amava al mondo.

Il personaggio di Isabella torna come filo conduttore dell’intera saga, vera chiave di volta che sorregge tutto l’intreccio di personaggi che si sono succeduti nel corso delle pagine. Da quella mattina del prologo in cui Daniel non ricordava il suo volto, fino alla conclusione agrodolce di questo capitolo, Isabella è sempre stata presente, fisicamente o idealmente, per indicare la via alle persone che ha amato e che ha, involontariamente, così profondamente condizionato.

L’ultima parte del romanzo è quella che ho trovato più debole dell’intera saga. La scelta di esplicitare ulteriormente la natura metaletteraria de Il Cimitero dei libri dimenticati si traduce in una coda, di nuovo, eccessivamente lunga e troppo poco interessante, che ha l’unico pregio di riportare in scena Julian Carax. L’altro Julian, il figlio di Daniel e Bea, non si rivela un personaggio abbastanza interessante da reggere sulle proprie spalle un capitolo così lungo e non necessario, per cui ad un certo punto la stanchezza comincia a farsi sentire.

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