Stranger Things – Stagione II

La prima stagione di Stranger Things mi era piaciuta in maniera molto misurata: avevo gustato l’atmosfera vintage anni Ottanta, mi ero divertito seguendo il mistero che avvolgeva la scomparsa di Will e i poteri di Eleven e avevo tifato per i giovani protagonisti quando combattevano contro il Demogorgon. Tuttavia non l’avevo trovata un capolavoro, né qualcosa per cui strapparsi i capelli attendendo spasmodicamente una seconda stagione, che, mi dicevo, non avrebbe fatto altro che confermare il mio giudizio. Quanto avevo torto.

La seconda stagione di Stranger Things recupera quanto di buono aveva la prima e lo arricchisce ulteriormente, approfondendo e complicando i rapporti tra i personaggi e il confronto con le oscure entità dell’Upside-Down, che questa volta strisciano nel nostro mondo infettandolo fisicamente e psicologicamente. Se la prima stagione si era configurato come un thriller soprannaturale pieno di colpi di scena, stavolta siamo di fronte a un’avventura squisitamente old-school, molto lineare nello svolgimento e privo di grandi rivelazioni ma dotato di un ritmo impeccabile e di una serie di ottime sceneggiature che, combinati insieme, riescono a tenere lo spettatore incollato allo schermo per una binge che non sarà mai troppo lunga.

Come l’anno scorso, anche stavolta la serie si configura come un film, dotato di un inizio, uno sviluppo e una conclusione molto ben strutturati e autoconclusivi, sebbene sia ovviamente lasciato spazio per un ulteriore seguito riprendendo la tradizione dell’horror anni Ottanta, uno dei più serializzati nella storia del cinema statunitense. Il fatto di aver inserito il numero progressivo “2” all’interno del titolo, seguendo, potremmo dire, la moda italiana che sente il bisogno di specificare ogni volta quale stagione si sta guardando, sembra conferma l’intenzione dei fratelli Duffers, showrunners della serie, di configurare Stranger Things come una saga di lunghissimi film piuttosto che come una regolare serie televisiva. Tutti i principali fili narrativi sono infatti risolti nel corso dei nove episodi che compongono la stagione, offrendo un racconto che sa perfettamente reggersi in piedi autonomamente e che, grazie all’intensivo uso di cliffhanger tra un episodio e l’altro, prosegue di episodio in episodio come un’unica storia, rifiutando l’andamento tematico per cui ogni singola puntata deve avere un argomento per definito. Fa eccezione il settimo episodio, un filler da manuale che sposta l’azione da Hawkins a Chicago per seguire Eleven nella ricerca della sua famiglia; un riempitivo, ma neanche poi così inutile dal momento che approfondisce il passato della bambina e arricchisce l’universo della serie presentando Otto, un’altra dei bambini su cui il dottor Brenner aveva condotto i suoi esperimenti.

Il punto forte della seconda stagione, così come della prima, sono i bambini protagonisti, che vengono presentati mentre si preparano ad affrontare il peggior mostro che si possa mai incontrare: la crescita. Mike, Lucas, Dustin e Will (sebbene quest’ultimo abbia tutta una serie di grane ben peggiori di cui preoccuparsi) stanno lentamente entrando nell’adolescenza, e questo delicato passaggio è raccontato in modo onesto e realistico, con cui è facile rispecchiare la propria esperienza. Iniziano a provare interesse per le ragazzine, a preoccuparsi del proprio aspetto e di come piacere agli altri, stringono legami che superano gli stretti confini del gruppo di amichetti, come la tenerissima amicizia che lega Dustin e Steve; anche la loro amicizia si fa, in un certo senso, più selettiva, con Will e Mike che si dividono molto spesso da Dustin e Lucas delineando due coppie di confidenti e amicizie molto più profonde, che iniziano a comprendere anche segreti e piccole gelosie. Allo stesso tempo, però, non sono ancora pronti a lasciare andare i giochi e i divertimenti dell’infanzia, come andare a scuola mascherati per Halloween, giocare agli Acchiappafantasmi e discutere di giochi di ruolo, cartoni animati e videogiochi. E’ proprio questa contraddizione intrinseca ai personaggi a dare loro una tridimensionalità che nella prima stagione era solo abbozzata, esaltando il lato umano ed emotivo della serie contro la trama fantascientifica che appare solo come un pretesto per raccontare qualcosa di più profondo e interessante, ossia il difficile passaggio dall’infanzia all’adolescenza, quando il mondo ti si apre davanti spaventandoti ed eccitandoti allo stesso tempo.

Will, dei quattro protagonisti, è sicuramente il più problematico visto il suo recente passato. Da plot device utile a far partire la trama, quest’anno Will diventa un pezzo fondamentale del puzzle grazie al suo collegamento con l’Upside-Down e la terrificante, Lovecraftiana creatura che vi abita. La storia di Will è la descrizione di un trauma non ancora completamente rielaborato, che torna ciclicamente a tormentarlo compromettendone la vita quotidiana. Il disegno è l’unico modo che trova per affrontare un problema che è infinitamente più grande di lui e che nessuno sembra sapere come risolvere davvero – ovviamente, direi, visto che, come per tutti i traumi psicologici, la risposta deve arrivare dal di dentro. Will domina gran parte dell’azione nel corso della stagione, concentrando su di sé la maggior parte dell’attenzione e relegando perfino Mike, l’anno scorso protagonista indiscusso, a un ruolo di supporto che svolge comunque egregiamente.

Infine, anche Nancy finalmente si emancipa dall’insipido ruolo in cui l’avevamo conosciuta prendendo l’iniziativa e conducendo una battaglia personale per dare giustizia a Barbara, morta nell’Upside-Down e apparentemente dimenticata da tutti all’infuori dei genitori. Nancy dimostra una forza d’animo e uno spirito di iniziativa invidiabili, e conduce una sua personale battaglia che affronta con un coraggio e una caparbietà di cui non la si sarebbe creduta capace. Sebbene non affronti mostri o poteri psichici, Nancy si scontra con il Potere, quell’entità astratta che tutto avvolge e controlla, e che sembra avere in pugno il destino di tutti. La vittoria di Nancy è forse la pare di trama che appare più ingenua e risolta in maniera decisamente semplicistica, sebbene ofra un messaggio di speranza straordinariamente attuale verso tutti coloro che si sentono oppressi e abbandonati da istituzioni che perseguono esclusivamente il proprio interesse. Non ultimo, Nancy, Jonathan e Steve dimostrano che è possibile scrivere dei personaggi adolescenti che non siano del tutto odiosi e antipatici.

A conti fatti, Stranger Things 2 parla sì di crescita, ma anche di fede. Ognuno dei personaggi deve scoprire la fiducia nel prossimo e appoggiarsi a qualcun’altro per riuscire a sopravvivere o portare avanti il suo compito. Will impara a confidarsi con Mike scoprendo in lui il suo migliore amico, Eleven affida la sua vita a Jim Hopper, che a sua volta deve dimostrarsi affidabile nei confronti della bambina, e Dustin cerca l’appoggio e l’approvazione di Steve, il quale si dimostra una persona ben più responsabile, coraggiosa e altruista di quanto si potesse sospettare. I bambini lottano tra di loro per coinvolgere la new entry Max nel gruppo, dividendosi tra chi si fida ciecamente di lei al punto da raccontarle tutto (Lucas) e chi invece non la vuole assolutamente intorno e solo alla fine sarà convinto del valore della ragazza (Mike). Allo stesso modo tutti devono fare i conti nuovamente con l’impossibile, trovando dentro di sé la forza di credere in quello che Will racconta e nell’esistenza di altri piani della realtà oltre al nostro. Il tutto si miscela alla perfezione per dare vita a un racconto sulla fede verso le altre persone, verso il mondo e, soprattutto, verso sé stessi.

L’unico, evidente, neo della stagione sono Max e suo fratello Billy, due nuovi personaggi introdotti ma mai esplorati in maniera davvero soddisfacente, facendo sorgere il sospetto che Max non sia altro che uno strumento narrativo per gettare scompiglio nel gruppo dei bambini. La mancanza di approfondimento nei loro confronti è un difetto di sceneggiatura che sarebbe stato facilmente risolvibile, ma la scelta di lasciarlo in sospeso potrebbe promettere risvolti imprevedibili nel corso della terza, probabile, stagione.

Stranger Things riesce in quella che tutti davano come un’impresa impossibile, ossia replicare e superare il successo della prima stagione. L’estetica vintage si arricchisce di un’anima viva e palpitante che coinvolge e convince, lasciando in trepidante attesa per un seguito che si promette ancora migliore.

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