Buffy the Vampire Slayer

Un liceo di notte: una giovane coppia entra di soppiatto da una finestra e inizia a baciarsi. Lei, bionda e bellissima, è evidentemente nervosa. Cos’è stato? Niente, risponde lui. No, davvero, ho sentito un rumore, ribatte lei. Non c’è nessuno, siamo soli, la tranquillizza lui. Ne sei sicuro? Si. Okay. La ragazza si volta: ha il volto deformato, gli occhi gialli e lunghi denti affilati che affonda nel collo del ragazzo.

Era il 10 Marzo 1997, e Buffy The Vampire Slayer debuttava in televisione.

Il mio incontro con la Cacciatrice è avvenuto diversi anni fa, nell’estate del 2008, mentre mi preparavo per l’esame di maturità, Italia 1 decise di sabotarmi mandando in onda le repliche la mattina. Vidi il primo episodio per pura curiosità, e ne rimasi immediatamente catturato per via di tutto quell’immaginario horror gotico che avrebbe contraddistinto le prime stagioni dello show e che io adoro alla follia, e, soprattutto, per i dialoghi, lunghi, veloci, articolati e imprevedibili. Il pilota di Buffy è un’episodio in cui non succede praticamente nulla, eppure me ne sono innamorato a prima vista.

In seguito arrivarono i mostri, i demoni, le streghe, i colpi di scena fulminanti e gli addii strazianti, tutto volto a costruire una mitologia ampia e coerente con un preciso punto di arrivo, ossia il messaggio estremamente femminista esplicitato nell’ultimo episodio, e che forse, a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio, non era ancora così scontato. Un ideale di potere femminile che non deve (e non può e non vuole) fare a meno dell’uomo, come molto spesso oggi si propone, ma che trova dentro di sé la forza per combattere prima ancora di vincere, di alzare la testa e ribellarsi qualora volesse farlo. Non esiste mai un’imposizione nel femminismo proposto dalla serie: nell’ultimo episodio, insieme al potere, Buffy concede anche una scelta, cioè quella di usare o no quel potere. Non c’è una chiamata alle armi collettiva, un obbligo alla lotta: decidere della propria vita è il potere più grande che la protagonista regala, alle Potenziali Cacciatrici e a tutti gli spettatori.

Fuori dalla metafora, comunque, Buffy è stato un esperimento decisamente innovativo e in cui pochissimo credevano. Niente di simile si era mai visto prima in televisione, e insieme a X-Files contribuì alla rivoluzione televisiva e alla diffusione capillare dell’horror, che finalmente veniva sdoganato anche in tv: si potrebbe dire che se oggi il mondo della serialità è quello che conosciamo, lo dobbiamo anche alla Cacciatrice, che ha dimostrato come si possa costruire un prodotto intelligente ed innovativo anche parlando di mostri e vampiri.

Forte di un concept capace di spaziare in tutte le direzioni, Joss Whedon caratterizzerà la serie con un mix di generi innovativo e sorprendente, unito con un gusto per la sperimentazione a volte spiazzante. Partendo da un canovaccio principalmente horror, Buffy esplora la commedia, il thriller, il musical e tutti gli altri generi, dimostrando una stupefacente capacità di adattare qualsiasi convenzione grazie agli sceneggiatori sempre in forma. Per quanto riguarda gli esperimenti, in questo campo Whedon dà il meglio di sé, sconvolgendo in continuazione il suo pubblico. Joss gioca in continuazione con le regole della serialità e la continuità narrativa, per non parlare del mezzo audiovisivo in sé (è possibile, nel 2000, realizzare un episodio con le tecniche del muto? Stando all’episodio Hush, sì). La spiazzante introduzione di Dawn è uno degli esempi più eclatanti di questa tendenza: la ragazza arriva presentandosi come la sorella minore di Buffy, tutti la conoscono e dimostrano di aver sempre interagito con lei ma noi non ne abbiamo mai nemmeno sentito parlare. Un’altro esempio è lo sconvolgente Normal again, della sesta stagione, in cui tutta la storia della serie viene attribuita al delirio di una Buffy rinchiusa in un manicomio; l’episodio si chiude in modo ambiguo, lasciando allo spettatore la libertà di scegliere (di nuovo) cosa preferisce credere e quale delle due realtà considera reale.

Nata come serie rivolta agli adolescenti, Buffy (il personaggio come la serie) cresce insieme al suo pubblico, accompagnandolo mano nella mano in quel percorso buio, pericoloso e spaventoso che conduce all’essere adulti. Questa è stata la forza della serie, e anche il suo tallone d’Achille. Crescendo si cambia, e la serie si trasforma molto con il passare delle stagioni: se le prime sono evidentemente trattano tematiche decisamente giovanili, come i primi amori, le amicizie, le rivalità tra coetanei, andando avanti gli argomenti si fanno sempre più complessi e maturi. Tara apre la serie alle relazioni omosessuali. Joyce ci permette di affrontare la malattia e la morte. Dawn ci obbliga ad assumerci le responsabilità tipiche di una persona adulta, che le si vogliano o no. Spike ci mette in pericolo con una relazione autodistruttiva. Willow ci conduce nel baratro della droga e della vendetta. Giles, il mentore, prova a lasciarci soli, liberi di sbagliare e imparare dai nostri errori. Mai prima d’allora si era vista una serie prendere così sul serio il mondo giovanile e rappresentarlo per come viene percepito da chi quel mondo lo sta vivendo: come un lungo racconto di formazione, ogni mostro, ogni minaccia nasconde una metafora, un simbolo più o meno esplicito che parla ai ragazzi senza condiscendenza o paternalismi, senza nascondergli nulla ma confidandogli la verità più importante di tutte, cioè che i mostri possono essere uccisi.

D’altra parte, questo progressivo cambio di registro ha molto spesso compromesso la percezione della serie, soprattutto fuori dagli Stati Uniti. Venduta come serie per ragazzini, i distributori si sono trovati in imbarazzo nel momento in cui, pochi anni dopo, hanno scoperto di avere tra le mani qualcosa di molto diverso, ragione per cui sono iniziate le censure, gli adattamenti arbitrari e gli episodi saltati fino a vere e proprie interruzioni nella programmazione, compromettendo il messaggio della serie e la comprensione della storia.

I personaggi sono meravigliosi, guidati da una protagonista eccezionale. Buffy nasce per ribaltare lo stereotipo della ragazza bella, bionda e stupida, che negli horror finisce per essere uccisa nei primi minuti ma che adesso si trova col peso del mondo sulle spalle. Tutti i protagonisti nascono come stereotipi (la biondina spensierata, il nerd, che allora non era ancora di moda, la secchiona timida, la stronzetta della scuola, il bel tenebroso) che vengono riscritti e rielaborati in modo geniale per dare vita a qualcosa di nuovo e, soprattutto, di autentico. Buffy non è un’adolescente e una donna ideale, ma diventa un persona vera che sbaglia, inciampa, si rialza e riprova, cercando di trarre il meglio da quello che ha a disposizione dentro e fuori di sé. Ma soprattutto, nessuno è perfetto: tutti commettono errori, ad un certo punto, e tutti sono chiamati a pagarne le conseguenze, prima o poi. Come i personaggi, anche il mondo di Buffy non è ideale e idealizzato, e molto spesso le cose non vanno come si vorrebbe: i sogni non si realizzano, gli amori finiscono (spesso, e spesso tragicamente), e il male più devastante e pericoloso arriva dalle persone normali invece che dai mostri.

Quello che rimane di Buffy a vent’anni dal suo debutto è una serie ancora brillante e che dimostra di non avere esaurito i suoi argomenti. Gli effetti speciali sono inevitabilmente invecchiati molto male, ma la genialità dei dialoghi e delle metafore, per non parlare della trama sempre emozionante e coinvolgente, rendono la serie un gioiello da riscoprire in qualsiasi momento, un classico della televisione capace di vivere almeno altri vent’anni senza sentirli più di tanto grazie alla sua capacità di parlare di sentimenti e paure universali con un linguaggio capace di arrivare a chiunque.

Per quanto mi riguarda, Buffy rimane una delle mie serie preferite di sempre; non mi arrischio ad affermare che mi abbia cambiato la vita, sarebbe esagerato, ma se oggi sono dove mi trovo è anche un po’ merito della Cacciatrice, e non smetterò mai di ringraziarla e volerle bene per questo.

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