Chest of Spooks 4: Lore

Si dice spesso che la realtà supera la fantasia; ma cosa succederebbe se la fantasia, con il suo bagaglio di leggende, creature soprannaturali, magie e misteri, alimentasse la realtà condizionando la vita delle persone fino a provocare comportamenti che sfuggono a qualsiasi controllo? Questo è l’interrogativo che si pone Lore, la nuova serie antologica prodotta da Amazon Prime Video e tratta dall’omonimo podcast di Aaron Mahnke, che serve anche come ispirazione per le storie adattate nei sei episodi autoconclusivi che compongono la prima stagione.

Ogni episodio racconta un’allucinante storia vera in cui le credenze popolari, le superstizioni e il folklore penetrano nella vita quotidiana delle persone condizionandone per sempre l’esistenza. Vampiri, fate, lupi mannari, infestazioni, e manicomi sono i protagonisti di questa breve antologia che racconta non tanto l’orrore o il soprannaturale, quanto i mostri generati da una ragione che, sopita, lascia spazio alla paura alimentata dalle credenze e dalle ansie delle persone. Alla fine è questo il messaggio che ogni episodio cerca di trasmettere: non cedere alla paura, non lasciarsi sopraffare da un mondo che sarà sempre troppo grande per noi, ma che non per questo resterà per sempre indomabile. Lore non cerca di annientare la magia che potrebbe nascondersi nelle pieghe della realtà, ma di mettere in guardia contro i pericoli che potrebbero derivare dall’abbandonarsi acriticamente a una visione del mondo dove la superstizione ha il sopravvento sulla scienza e il folklore sulla ragione.

Le storie scelte per questa prima stagione sono una più surreale dell’altra, e, come spesso accade, la parte più terrificante è il cartello iniziale che dichiara la veridicità dei fatti e dei personaggi portati in scena. Si comincia con They Made a Tonic, in cui un’epidemia di tubercolosi è giustificata con l’azione dei vampiri che, dalla tomba, rubano la vita ai membri della loro famiglia. Si tratta probabilmente dell’episodio meno riuscito, in cui il ritmo non procede ancora in maniera fluida e la vicenda risente di una notevole lentezza nonostante la storia molto interessante che racconta.

Si passa quindi, con Echoes, al racconto della vita di Walter Freeman, il neurochirurgo che negli anni Sessanta diffuse la pratica della lobotomia distruggendo di fatto la vita di migliaia di persone. Si tratta di un episodio quantomeno controverso, in cui il soprannaturale lascia spazio all’orrore di una pratica considerata scientifica e quindi incoraggiata per risolvere patologie psichiatriche vere o presunte; il risultato è una lucida denuncia delle prevaricazioni attuate sulle persone da una scienza che perde di vista il suo lato umano e travisa la sua missione, che non diventa più aiutare il prossimo quanto piuttosto trattarlo come un pezzo di carne su cui lavorare.

Black Stockings è stata la mia storia preferita: siamo in Irlanda alla fine dell’Ottocento, e Michael Cleary si è convinto che la moglie Bridget sia in realtà un changeling, una fata che ne ha preso il posto dopo averla rapita. In questo caso la superstizione è alla base di un orrendo crimine, un uxoricidio provocato da un sospetto assurdo e dalla presunta diversità di Bridget, una donna emancipata in un mondo ancora esplicitamente maschilista.

Passing Notes e Unboxed, rispettivamente il quarto e il sesto episodio, trattano tematiche molto simili, ossia lo spiritismo e le infestazioni da parte dei fantasmi: nel primo una casa apparentemente visitata dagli spiriti è l’occasione per trattare l’argomento delle comunicazioni con l’aldilà, mentre il secondo racconta l’inquietante storia di una bambola posseduta da uno spirito malvagio.

Con The Beast Within, infine, si torna a parlare di mostri con un lugubre racconto sui lupi mannari che, si diceva, si aggirassero alla fine del Cinquecento in Germania; anche in questo caso l’elemento soprannaturale fornisce l’occasione per parlare della paranoia che scaturisce di fronte a ciò che è sconosciuto e alle risposte che l’uomo, spaventato di fronte a una natura che ancora non riesce a comprendere del tutto, può arrivare a darsi per giustificare quello che accade intorno a lui.

Ma Lore è anche, e soprattutto, un suggestivo viaggio all’interno dell’immenso bagaglio folkloristico umano, un tesoro di storie e personaggi che hanno seguito per secoli l’evoluzione della civiltà e che ancora oggi ci tiene compagnia. Trasmesso generalmente sotto forma di racconto orale e tradizioni popolari, il folklore ha avuto il compito di dare una spiegazione ai misteri del mondo che la scienza ancora non era in grado di penetrare, come esemplificato da They Made a Tonic, dove le leggende sui vampiri cercavano di spiegare un’epidemia che la medicina ufficiale ancora non era in grado di debellare. Il senso di meraviglia e di magia sono onnipresenti anche nelle storie più raccapriccianti, spingendo lo spettatore a domandarsi quale sia effettivamente la verità: Lore, infatti, non si propone di dare risposte, ma presenta i suoi casi con l’oggettività di un documentario lasciando poi ai singoli individui il compito di interpretare il racconto come più preferisce, scegliendo la versione più fantasiosa o quella aderente alla realtà.

Lo stile della serie è uno dei suoi tratti più peculiari. Lore dimostra un eclettismo stilistico pari a quello narrativo, usando liberamente qualsiasi mezzo espressivo a sua disposizione ritenga più funzionale per raccontare la storia. Il rischio di caos che deriva dall’avere una quantità di materiale così eterogeneo è scongiurato dall’uso della voce narrante di Aaron Mahnke, l’autore del podcast originale, che in ogni episodio funge da guida lungo i misteriosi sentieri delle credenze umane. In generale si potrebbe dire che Lore utilizza uno stile documentaristico con una narrazione che lega tra di loro reperti autentici e scene romanzate che raccontano la storia nel suo svolgersi. Oltre alla trama principale, ogni episodio contiene una lunga serie di aneddoti riguardante il tema principale dell’episodio, spesso realizzati con tecniche imprevedibili che diversificano ulteriormente lo stile narrativo della serie; sono un’esempio le brevi sequenze animate che talvolta interrompono il racconto per spostare l’attenzione su un’altra vicenda simile a quella principale ma, generalmente, più contenuta.

Il risultato è un racconto suggestivo e preciso allo stesso tempo, dove l’approfondita ricerca e la cura della messa in scena collaborano per portare in vita storie inquietanti e misteriose. Manhke racconta le sue storie con l’abilità di un narratore consumato che usa la voce per avvolgere lo spettatore nell’atmosfera del racconto, come una storia narrata intorno al fuoco che, unica fonte di luce, rischiara il buio con le sue fiamme. Davanti a un falò, avvolti dall’oscurità, qualsiasi cosa può improvvisamente sembrare verosimile e sinistramente vera, fino all’arrivo dell’alba che con la sua luce dissipa finalmente le tenebre e rivela le creazioni del narratore per quello che sono in realtà – solo storie.

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