Mentre Morivo, di William Faulkner

Una delle mie fissazioni consiste nel leggere, se riesco, il libro da cui è tratto un film che ho intenzione di vedere prima che questo effettivamente esca in sala. Spulciando la lista dei film presentati alla Mostra di Venezia disponibili per lo streaming su MyMovies mi sono imbattuto in As I Lay Dying, che ho scoperto essere l’adattamento di un romanzo di William Faulkner; visto che non ho mai letto niente di suo ho colto l’occasione, mi sono precipitato a procurarmelo e l’ho divorato praticamente in tempo zero. Il commento breve è che si tratta di un libro bellissimo, ma che ti strazia dentro facendoti a brandelli l’anima per poi lasciarti solo a raccogliere e rimettere insieme i cocci, se ne sei capace. In pratica, ha le carte in regola per diventare uno dei miei preferiti di sempre.

La storia in realtà è piuttosto scarna. Protagonista del libro è la famiglia Bundren, che vive in una fattoria persa nel nulla; quando Addie, la moglie del patriarca Anse, sente approssimarsi la fine per un male che non è stato curato, fa giurare al marito di portare il suo corpo a Jacksonville e seppellirla lì. L’uomo promette, e quando Addie muore si mette in viaggio insieme ai cinque figli per realizzare l’ultimo desiderio della moglie; nel corso del viaggio, ovviamente, le tensioni all’interno del nucleo famigliare si esaspereranno, e molti di loro troveranno una conclusione drammatica alla propria vicenda personale. Tranne Ansie, che tra tutti è l’unico a guadagnarci.

as-i-lay-dying-2013-james-franco-cov932-932x460

Se la storia è molto semplice, il modo in cui è raccontata non lo è affatto; si assiste a una differenza sostanziale tra fabula e intreccio, dove quest’ultima prende la materia quotidiana della prima e la eleva allo stato di arte grazie al peculiare modo che ha l’autore di costruire la vicenda della famiglia Bundren. Mentre Morivo è un libro composto da punti di vista che si susseguono continuamente, uno per capitolo, brevi monologhi necessariamente parziali e incompleti che solo nella combinazione dell’uno con gli altri permettono di ricostruire l’intera vicenda, spesso raccontata ignorando qualsiasi procedere logico o cronologico. Faulkner adotta evidentemente il flusso di coscienza nel far parlare i suoi personaggi, che sembrano spesso confessarsi a un interlocutore invisibile mettendosi a nudo e rivelando anche quello che tengono più segretamente nascosto dentro di loro; ai capitoli narrati dai membri della famiglia se ne aggiungono altri dal punto di vista di vari personaggi che incontrano lungo la strada, ognuno dei quali riesce a fare luce in modo spietato sulle idiosincrasie dei Bundren e sulla loro missione. “Spietato” è un aggettivo che mi è uscito da solo dalle dita, ma mi sembra particolarmente felice, perché descrive il tono generale dei brevi monologhi: non c’è mai spazio alla pietà o alla comprensione, per non parlare dell’amore, ma tutti i protagonisti sono avvinti, e quasi sorretti e tenuti insieme, dall’odio e dal risentimento, sentimenti che quasi trasudano fisicamente dalle pagine.

cover1000

Faulkner riesce a mimetizzarsi nei suoi personaggi in modo quasi inquietante, cambiando continuamente voce e registro a seconda di chi parla al punto da renderli perfettamente riconoscibili anche leggendo in traduzione. Ognuno dei protagonisti ha una voce molto chiara e forte, che si distingue sempre dalle altre grazie a finezze di lessico o di sintassi. Darl, ad esempio, l’unico che ha visto il mondo al di fuori della fattoria sebbene in occasione della Grande Guerra, ha un vocabolario e una sensibilità artistica immensamente superiore a quella dei suoi famigliari, mentre Vardaman, il più piccolo della famiglia, parla per frasi molto brevi e spesso sconcatenate, come se cercasse di costruire un pensiero che ancora non ha i messi per articolare in modo compiuto; di Vardaman è anche il capitolo più breve del libro, che consiste in una sola frase: “Mia madre è un pesce”, una delle tante metamorfosi che il mondo subisce attraverso il suo sguardo e intelletto ancora acerbi.

Se le voci sono sempre diverse e tutte ugualmente riuscite, comune a tutti è l’estremo lirismo della scrittura. Faulkner prende una materia tutto sommato quotidiana e ne fa oggetto di epica, trasformando il viaggio di una famiglia di contadini in un percorso attraverso diversi gironi infernali dai quali escono, in un certo senso, purgati e rinnovati. La scrittura è densa e vivida, con immagini molto chiare che si creano in mente man mano che le parole dipingono i tragici tabluex che compongono le diverse scene, soprattutto all’inizio, quando si aspetta che Addie muoia da un momento all’altro e l’atmosfera è sospesa, come se trattenesse il fiato, mentre si prepara un uragano che sembra sempre e solo sul punto di scatenarsi senza mai volersi decidere ad abbattersi. Ci si trova sempre a un passo dall’Apocalisse, con ambientazioni naturali che sembrano sempre gigantesche e soverchianti in confronto ai piccoli esseri umani che si muovono al loro interno, come un dio malevolo che osserva nella sua onnipotenza dei piccoli esseri che potrebbe annientare solo volendolo, e talvolta lo fa. Mi ha fatto venire in mente i quadri di William Turner e le sue nature violente e colossali ma, al tempo stesso, incantevoli nella loro selvaggia bellezza, con piccoli esseri umani, spesso anonimi, che si stagliano solitari ad affrontare la forza di un mondo impossibile da domare.

As_ILay_Dying_film

Spero di essere riuscito a rendere a parole quanto mi sia piaciuto Mentre Morivo. So che ne esiste già una trasposizione cinematografica, da cui ho tratto le immagini di questo articolo, ma ho un po’ paura di vederlo; ho il terrore che non sia all’altezza delle immagini che mi sono creato nella mente mentre leggevo, e di restarne terribilmente deluso. Ad ogni modo, se non l’hai letto, ti consiglio di recuperare assolutamente Mentre Morivo, e di farti spezzare per bene il cuore da Faulkner, che evidentemente sa bene come farlo in modo tale che non guarisca facilmente del tutto.

Lascia un commento