MerMay #11: Mermaid Saga, di Rumiko Takahashi

La mia conoscienza dell’opera di Rumiko Takahashi, purtroppo, è molto lacunosa, dal momento che prima d’ora non avevo mai portato a termine una delle sue serie: ho iniziato l’anime di Inuyasha una vita e mezzo fa, ma sebbene mi stesse piacendo non l’ho mai proseguito, e idem con la lettura di Ranma 1/2 – che però, a onor del vero, dopo i primi capitoli ha iniziato a prendermi sempre meno, probabilmente perché ero già oltre l’età in cui la vista di una tetta giustificava la lettura o visione di qualsiasi cosa. È quindi ironico che Mermaid Saga sia l’unica storia di Takahashi che abbia letto per intero, dal momento che si tratta dell’unica serie che l’autrice non ha mai concluso: evidentemente è destino che non debba mai vedere il finale di qualcosa scritto da lei! 

La storia ha per protagonista Yuta, un ragazzo perseguitato da una maledizione: dopo aver mangiato la carne di una sirena è diventato immortale. L’immortalità è però un effetto molto raro dell’ingestione di carne di sirena, dal momento che si tratta di un potente veleno che nella maggior parte dei casi semplicemente uccide o, se non uccide, trasforma chi l’ha mangiata in un mostro bestiale; solo uno su mille, ci viene insegnato, diventa effettivamente immortale, cosa che, comunque, non impedisce a Yuta di incontrare decine di persone nella sua stessa condizione. La vicenda inizia quando Yuta, alla ricerca di un rimedio per la sua immortalità, salva la vita della giovane Mana, tenuta prigioniera e nutrita con carne di sirena in attesa di poter essere a sua volta divorata; i due iniziano un viaggio per il Giappone alla ricerca di una soluzione al loro problema, imbattendosi ogni volta nei terrificanti effetti che la carne di sirena ha dopo il suo avventato utilizzo. 

Sebbene, come detto in apertura, non abbia una conoscenza approfondita del lavoro di Rumiko Takahashi, mi sembra che Mermaid Saga sia piuttosto diverso dalle altre cose che ha realizzato, quantomeno da quello che ho letto e visto di Ranma 1/2 e Inuyasha, sebbene alcuni elementi ricorrano come un filo rosso tra le sue opere. Abbiamo infatti nuovamente un protagonista afflitto da una terribile maledizione, ma se in Ranma 1/2 la condizione di Ranma era trattata, per quello che ho letto, come spunto comico per dare vita a una frizzante commedia degli equivoci, Yuta subisce un trattamento completamente opposto dal momento che la sua immortalità è sempre trattata come una tragedia. È un argomento complesso, quello dell’immortalità, un dono che può essere percepito sia come una benedizione che come una maledizione, ed entrambe le prospettive sono esplorate in Mermaid Saga sebbene sia molto chiaro da che parte penda il giudizio dell’autrice: Yuta e Mana vivono infatti come un peso la loro immortalità che li separa dalle altre persone e impedisce loro di condurre una vita normale, mentre  tutti coloro che nel corso del manga ricercano attivamente l’immortalità finiscono sempre per diventare i villain delle diverse storie e sono ritratti come persone egoiste, violente, folli o disperate. 

Questa dicotomia di base sorregge tutta una serie di altre riflessioni che l’autrice dissemina nel corso del manga. Si parla infatti moltissimo di avidità ed egoismo, sempre nascosti sotto la labile metafora dell’immortalità, e ci si chiede in continuazione cosa una persona potrebbe essere in grado di fare per realizzare un suo sogno o un suo obiettivo, soprattutto quando le azioni che ti viene richiesto di fare sono abiette: a quanto della tua umanità sei disposto a rinunciare per vivere per sempre, sembra volerci chiedere Takahashi. Anche in questo caso la sirena diventa il simbolo di una tentazione, ma invece di esserne l’obiettivo costituisce il mezzo: sapendo che esiste una creatura magica la cui carne può realizzare il tuo desiderio più grande, riusciresti a resistere alla tentazione di usarla o cederesti incurante del numero di persone di cui potresti provocare la morte? La brama, il desiderio di avere l’impossibile, che spesso si traduce in un amore perduto, la liberazione da una persecuzione, il sollievo dalla solitudine o la riparazione di un torto subito, sono sentimenti universali nelle persone in grado, se non adeguatamente misurati, di generare mostri; Takahashi cerca sempre nei suoi personaggi cosa manchi loro, quale sia la loro debolezza, e poi fornisce loro lo strumento per colmare il vuoto dentro di loro osservando quello che succede. 

E quello che succede è spesso l’orrore, con una violenza brutale e sanguinosa che finisce per travolgere gran parte dei personaggi coinvolti – perfino Yuta e Mana stessi, che in quasi tutti i capitoli vengono mutilati e uccisi. È un drastico cambio di registro dalla commedia a tratti boccaccesca di Ranma 1/2 e dalla violenza fantasy di Inuyasha, quella di Mermaid Saga, dove non ci sono mostri da combattere ma solo persone disposte a tutto per ottenere il proprio scopo. Nemici assolutamente umani, quindi, che combattono e uccidono con strumenti assolutamente umani rendendoli spesso più subdoli e pericolosi di quanti mostri e demoni potrebbero essere, perché se davanti a una creatura mitologica puoi avere l’istinto di tenere alta la guardia, davanti a un bambino, sebbene immortale, il primo istinto è di proteggerlo, con conseguenze fatali. Il sangue scorre a fiumi in tutte le storie, e sebbene non si sfoci mai nel gore fine a sé stesso man mano che il manga procede si fa sempre più significativamente violento e cupo, sollevando scenari veramente da incubo come corollari all’immortalità dei personaggi e costruendo scene potenzialmente molto disturbanti, come la donna che, contando sul fattore di guarigione fornito dalla carne di sirena, si strappa e cambia la faccia per interpretare di volta in volta persone diverse.

Il tratto grafico è quello tipico di Rumiko Takahashi, quasi un marchio di fabbrica, e mi piace moltissimo. Se da un lato è vero che i personaggi non si differenziano quasi per niente, dal momento che hanno tutti più o meno la stessa faccia, adoro come riesca a disegnare dei corpi così flessuosi, armonici e forti allo stesso tempo. L’autrice ha uno stile molto semplice, ma capace di delineare un personaggio con davvero pochi tratti e soprattutto conferirgli una grandissima personalità grazie a dei volti incredibilmente espressivi; io poi adoro questo modo di disegnare in cui le figure erano tutte morbidissime e si riusciva a percepire il volume dei corpi. Il bianco e nero delle tavole è molto contrastato, risultando in disegni quasi del tutto privi di scale di grigi ma con dei neri profondissimi che delineano le forme dei protagonisti e sembrano, talvolta, assorbirli in questa oscurità; una menzione d’onore poi al disegno dei mostri, simili a mostruosi anfibi dagli occhi sporgenti, e delle persone anziane, queste sì davvero distinguibili e con lineamenti unici e e personali al contrario di quanto accade con i giovani, forse fin troppo idealizzati. 

Mermaid Saga non è un manga particolarmente raffinato, c’è un sacco di esposizione che ti spiega minuziosamente chi sia chi e cosa stia succedendo, e al tempo stesso potrebbe essere criticato oggi per la sua rappresentazione dei personaggi femminili, quantomeno poco lusinghiera nonostante alcuni di loro, come Mana, abbiano personalità molto forti e interessanti; nonostante questo, però, è molto divertente e si legge, purtroppo, in un attimo, sia per la velocità con cui si sviluppano le trame sia perché, obiettivamente, non ce n’è molto da leggere. La storia è sempre rimasta priva di un finale, lasciando diversi nodi in sospeso e senza concludere mai il viaggio di Yuta e Mana; Takahashi ha affermato di non considerare lei stessa il manga concluso, e di volergli dare un finale, prima o poi. E a me piacerebbe tanto che ciò accadesse. 

MerMay

6 pensieri riguardo “MerMay #11: Mermaid Saga, di Rumiko Takahashi

    1. Probabilmente lo avevo perso!
      Io ho visto molto poco dell’anime di Ranma 1/2, forse giusto il primo episodio, e anche con il manga non sono andato molto avanti; mi incuriosisce, ma ho paura rientri tra quelle cose per cui sono davvero troppo grande, rischiando di annoiarmi. Però la premessa di base è molto accattivante…
      Kasumi ricordo che non mi aveva fatto chissà quale impressione, mi sembrava una figura forse troppo tipizzata da “angelo del focolare” e per quanto dolcissima non riuscivo a trovarla molto interessante.

      Purtroppo so cosa vuol dire dover rinunciare a una potenziale relazione perché lei è già occupata: una volta, poi, sono stato davvero bravo a sabotarmi, perché ho captato l’interesse nei miei confronti ma ho lasciato sfuggire l’occasione, e quando sono tornato lei era già insieme a un altro – e lo è tutt’oggi. Con lei invece i rapporti si sono lentamente diradato fino a svanire quasi del tutto.

      Ps. ho dovuto rileggere il post un paio di volte perché mi era sfuggito il punto in cui passavi dal raccontare un aneddoto personale alla trama del libro, per quanto sfumano l’uno nell’altro!

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      1. Come avrai capito, nei miei post succede spesso che io parta da un aneddoto personale per poi passare alla recensione di un libro o di un film.
        Quando organizzo un post in questo modo, una delle mie paure più grandi è proprio quella di passare troppo bruscamente dalla prima alla seconda parte: di conseguenza, dicendomi che in questo caso il passaggio risulta molto naturale mi hai fatto un grandissimo complimento.
        Riguardo alla tua esperienza con la ragazza già occupata, dato che il rapporto non è sfumato del tutto ti consiglio di ravvivarlo: sia perché potrebbe sempre lasciarsi con l’attuale fidanzato, sia perché è sempre un peccato perdere di vista una persona con cui abbiamo un buon feeling. Grazie mille per i complimenti e per questa risposta così articolata! 🙂

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  1. Credo che potresti apprezzare un po’ tutte le storie brevi della Takahashi (la Star comics, in Italia, non si lascia sfuggire una raccolta che sia una).
    Molte sono storie a sfondo comico-demenziale, alla Lamù più che alla Ranma 1/2, ma non mancano storie un po’ più drammatiche, spaccato di vita (slice of life) o persino horror, come nel primo volume della raccolta Rumic World.
    Poi non ho mai letto la serie, ma ho visto il cartone animato, di Maison Ikkoku, a detta di molti l’unica sua storia in cui il finale non è aperto o sfilacciato, ma piuttosto netto (se vogliamo, anche Inuyasha ha un finale più deciso rispetto al nulla narrativo di Ranma, ma paga il fatto di essere inutilmente lunga, come serie).

    Riguardo al finire le sirene, sarebbe anche il caso che iniziasse ora: dando un’occhiata a certi suoi lavori recenti, come Mao, ho notato che il suo tratto si è fatto meno deciso 😦 purtroppo gli anni passano pure per Rumiko.

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    1. Maison Ikkoku è proprio il titoli che avevo adocchiato per leggere qualcos’altro di suo, mi piaceva che fosse un genere totalmente diverso dalle sue storie più famose e, come hai sottolineato, che fosse finito!
      Leggendo Mermaid Saga, comunque, ho avuto anche la tentazione di riprovare con Inuyasha, in molto che conosco si sono lamentati della sua lunghezza ma mi attira molto più di Ranma.

      Non voglio fare la Cassandra della situazione, ma secondo me non lo finirà mai: è una cosa che ha detto ma non credo andrà a riprendere in mano una storia di così tanti anni fa e nemmeno così famosa, a meno che non se lo voglia tenere come progetto a tempo perso per la pensione.

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      1. Nemmeno io credo che la Takahashi riprenderà le sue sirene, se non altro perché avrebbe avuto tutto il tempo per riprenderla in questi decenni!
        Magari mi smentirà, magari subappalterà il disegno ad altri (anche se tutto si può dire della Takahashi, tranne che non si impegni nel lavoro).

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