Doctor Strange

Stephen Strange è il miglior neurochirurgo al mondo. Un terribile incidente compromette per sempre il suo uso delle mani, e alla ricerca disperata di una cura giunge ad un santuario in Nepal dove incontra l’Antico, un potente stregone immortale che si offre di insegnargli le sue arti mistiche. Attraverso un addestramento fisico e spirituale, Strange apprende l’uso della magia e si prepara ad affrontare Kaecilius, avversario dell’Antico, e l’oscura entità che egli serve, il mostruoso Dormammu.

Giunto al suo quattordicesimo film, il Marvel Cinematic Universe decide che è ora di cambiare e rinnovare parzialmente il suo stile caratteristico, che ha saputo mantenere intatto nonostante il grande numero di mani molto diverse tra loro che hanno lavorato ai singoli film. Scott Derrickson ha avuto quindi una libertà sicuramente maggiore dei suoi predecessori nel maneggiare la materia del film, un’opera in cui la realtà e l’illusione si fondono costantemente e in cui le dimensioni si intersecano e piegano a vicenda, e di certo ha avuto il suo peso il fatto che si tratti del primo approccio del regista ad un’opera puramente fantasy, garantendo al film una freschezza che ormai comincia a mancare nel resto dell’Universo condiviso, affidato a personalità già ben rodate nell’ambiente.

Il risultato è un film visivamente impressionante ed originale, un tripudio di mandala e colori sgargianti, di viaggi psichedelici attraverso lo spazio e il tempo, dentro e fuori la mente e il corpo. Un’opera a suo modo sperimentale per la Marvel, che mai aveva osato così tanto in uno dei suoi film, neppure nei meno terreni come Thor o Guardians of the Galaxy. I complessi motivi geometrici e concentrici degli incantesimi dominano la pellicola, così come la filosofia dell’Antico, alla quale viene dedicato grande spazio soprattutto durante la grande allucinazione che segue l’arrivo di Strange al santuario. L’aspetto più filosofico della sceneggiatura, soprattutto, è stato una grande scommessa, dal momento che rallenta notevolmente la trama a favore di lunghi dialoghi esplicativi, al punto da concentrare il grosso dell’azione nella seconda parte del film dopo un primo tempo quasi esclusivamente dialogato.

Le scene d’azione, all’inizio piuttosto brevi e poi sempre più articolate, risaltano per la qualità della loro coreografia e, nuovamente, per l’originalità dell’insieme. Se nel precedente Civil war le stupefacenti acrobazie dei personaggi avvenivano nello spazio tridimensionale della città, in Doctor Strange questo spazio si moltiplica a livello esponenziale aumentando conseguentemente le possibilità d’azione dei personaggi.

Il lungo combattimento all’interno della città che si trasforma e piega su sé stessa dimostra una grande padronanza della regia e dello spazio scenico, dando vita ad una delle scene più spettacolari dell’universo condiviso. Le critiche che vogliono accomunare la scelta visiva di questa scena ad una analoga del film Inception hanno ragione solo a metà: è evidente come il film di Nolan abbia fornito una palese fonte d’ispirazione, ma in Doctor Strange la trasformazione della città, come per tutti gli ambienti del film, si spinge molto oltre, moltiplicando all’infinito lo spazio davanti ai nostri occhi come un fiore che sboccia in continuazione.

Lo stile visionario ed innovativo della messa in scena non è tuttavia eguagliata dalla trama e dalla sceneggiatura, che potremmo al meglio definire convenzionali. La storia procede per tappe obbligate che si susseguono con una prevedibilità rassicurante riservando ben poche sorprese, e così la sceneggiatura, che non presenta particolari vette d’ispirazione, in un continuo appiattimento di una materia potenzialmente molto più interessante.

Allo stesso modo il trattamento dei personaggi segue le tipologie fisse già collaudate in casa Marvel e nel genere fantastico. Strange si propone come una rivisitazione di Tony Stark, supponente e arrogante coinvolto suo malgrado in un piano molto più grande di lui, mentre il villain Kaecilius propone una delle backstories più trite e banali mai scritte. Anche in questo caso, un lavoro maggiore sulle loro caratterizzazioni non avrebbe che giovato al film.

I personaggi sono salvati dai loro interpreti, un cast composto per la maggior parte da grandi star. Benedict Cumberbatch dà volto al protagonista in una nuova incursione nel cinema blockbuster, sebbene con un’interpretazione molto simile per certi versi al suo Sherlock dell’omonima serie tv, spalleggiato da un’ottima Rachel McAdams che risolleva un personaggio tristemente sottoutilizzato e scarsamente caratterizzato. Mads Mikkelsen dona intensità e travaglio al villain Kaecilius, riuscendo con il volto e il corpo a riempire le lacune della sceneggiatura, mentre l’Anziano ha le fattezze perfette di Tilda Swinton, una scelta molto controversa e che ha sollevato numerose critiche per via del genere e dell’etnia dell’attrice, ma che si è rivelata alla fine vincente: il volto androgino e dall’età indefinibile della Swinton è perfetto per incarnare un essere eterno ed immortale, dotato di saggezza e abilità infinite.

Diviso tra un’impressionante lato visivo e una scrittura appena sufficiente, Doctor Strange comunque convince e si presenta come uno dei film Marvel più originali, un esperimento molto riuscito di rinnovare lo stile ormai prevedibile dell’Universo e che dona al film un’identità ben riconoscibile e personale, come sarebbe bello accadesse per tutti i film del franchise.

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