Marathon Day: Dinosauri (2000)

Il 1999 aveva segnato un forte momento di rottura nella filmografia Disney, dal momento che si era assistito, nel breve volgere di dodici mesi, alla fine del Rinascimento con Tarzan e all’alba di una nuova era, un’epoca ricca di inventiva e creatività ma, al tempo stesso, enormemente controversa e divisiva anche per gli stessi fan dello Studio. Con l’esaurirsi della formula musical, la Disney è costretta a riflettere per trovare nuovamente sé stessa, la propria identità, e nel fare ciò, come ogni adolescente che si rispetti, sperimenta: Fantasia 2000 aveva inaugurato perfettamente questa nuova fase, ma è con il successivo Dinosauri, il primo Classico del nuovo millennio, che si comincia a fare sul serio.

Con Dinosauri appare evidente la nuova strada che lo Studio avrebbe percorso da quel momento in avanti: a fronte di una trama piuttosto generica, il film dimostra il desiderio di spingere l’arte dell’animazione laddove ben pochi avevano immaginato di arrivare. Nel 1995, infatti, la Pixar, società di animazione fondata nel 1986 da Steve Jobs, aveva debuttato nel panorama del lungometraggio animato con Toy Story, un film rivoluzionario nel presentare un modo inedito di concepire e realizzare l’animazione. Per la prima volta, la Disney si trovò a partecipare a una competizione impreparata: se in passato aveva potuto far valere la sua superiore esperienza per schiacciare, anche in modo sleale, qualsiasi concorrenza, stavolta semplicemente non aveva i mezzi per opporsi alla Pixar: erano due mondi completamente diversi, e appariva già dolorosamente chiaro dal successo di Toy Story, a fronte del deludente Pocahontas, che l’animazione in CGI sarebbe stata il futuro. Alla Disney sarebbero occorsi ancora diversi anni prima di riconvertire interamente i suoi studi per il digitale, ma Dinosauri rappresenta il primo tentativo dello Studio di realizzare un film interamente animato al computer. Più o meno.

Alla Ricerca della Valle Inc… ah, no?!

La storia di Dinosauri comincia nel 1986, e piuttosto lontano dall’ambiente disneyano: ci troviamo infatti sul set di Robocop, e tra una ripresa e l’altra il regista Paul Verhoeven progetta, insieme al suo effettista Phil Tippet, un film dal taglio naturalistico sui dinosauri. Nella loro prospettiva, il film avrebbe dovuto avere un tono molto cupo e violento e avrebbe dovuto improntarsi come un viaggio verso la salvezza attraverso desolate terre preistoriche fino a una terra promessa di abbondanza e gioia; una volta giunti lì, però, per i protagonisti non sarebbero terminati i guai, dal momento che la storia avrebbe dovuto concludersi con l’arrivo del meteorite e l’estinzione di massa di tutti i dinosauri.

Già da queste poche righe di soggetto appare evidente come l’idea di base sia sospettosamente simile a quella di Alla Ricerca della Valle Incantata, il film del 1988 diretto da Don Bluth, ex collaboratore Disney e negli anni Ottanta suo principale concorrente; e le somiglianze rimangono anche nel prodotto finito, con un impianto narrativo incentrato sul viaggio della speranza da parte di un gruppo di dinosauri erbivori alla ricerca di una terra sempreverde e incalzati da un feroce predatore. Quello che, almeno in parte, riesce a nobilitare Dinosauri e a differenziarlo sufficientemente dal film di Bluth da non incorrere nell’accusa di plagio è lo spessore che la sceneggiatura riesce a dimostrare qua e là; sebbene il livello del copione sia tutt’altro che memorabile, infatti, il film riesce a imbastire una serie di discorsi molto profondi e toccanti soprattutto sui meccanismi di selezione sociale messi in atto all’interno del branco, dove i più deboli sono cinicamente lasciati indietro perché non rallentino gli altri membri e, si intende, trattengano i carnivori abbastanza a lungo da permettere agli esemplari più giovani e forti di allontanarsi il più possibile.

Verhoeven e Tippet lasciano il progetto nel 1990, e il film inizia lentamente a mutare. I personaggi cambiano drasticamente aspetto, con il protagonista che, da Styracosauro, diventa un Iguanodon e gli antagonisti che da Tyrannosaurus Rex vengono “declassati” a Carnotauri, una scelta dovuta probabilmente anche alle voci su un imminente film di Spielberg con un Tirannosauro al centro di grandiose scene d’azione. Nello stesso periodo anche il tono del film iniziò a farsi sempre meno cupo, con l’eliminazione del finale drammatico e l’introduzione di linee di dialogo per i personaggi, assenti nell’idea iniziale – dialoghi tuttavia non sempre ispirati e caratterizzati da una certa ingenuità soprattutto nei momenti più comici. L’idea del film naturalistico è quindi ormai completamente snaturata a favore di un film narrativamente più convenzionale e in linea con la poetica disneyana. Rimane, come unico riferimento a questa originale concezione iniziale, la grandiosa ouverture del film, in cui un’ottima sequenza musicale segue le peripezie di un uovo di dinosauro; si tratta probabilmente di uno dei momenti migliori e più ispirati dell’intero film, in cui il taglio documentaristico dà il meglio di sé nel rappresentare gli animali preistorici come avrebbero effettivamente potuto essere, uno stile fresco e interessante che però viene brutalmente messo da parte nel momento in cui entrano in scena i primi protagonisti parlanti.

Anime digitali.

Sebbene l’idea originale di Verhoeven e Tippet fosse quella di realizzare Dinosauri in stop-motion, con la loro uscita di scena l’attenzione si rivolse proprio verso quella tecnica della quale la concorrenza si stava godendo il monopolio, l’animazione digitale. Come abbiamo già visto, in realtà, a questo punto la Disney usa l’animazione in CGI già da diverso tempo, fin dagli anni Ottanta quando aveva creato gli effetti luminosi in Taron e la Pentola Magica, o gli ambienti tridimensionali per Oliver & Co. fino ai virtuosismi del Rinascimento che avevano portato a un affinarsi costante della tecnica. Tuttavia questi esperimenti erano ben lontani dal portare alla realizzazione di un lungometraggio interamente animato al computer, e anche in questo caso si decise per una tecnica mista: personaggi animati digitalmente si sarebbero mossi su fondali ripresi in live-action.

Per l’impegno inedito che l’animazione di Dinosauri imponeva, lo Studio decise di avere bisogno di ulteriore manodopera, e acquistò uno studio esterno, la Dream Quest, ribattezzato in “The Secret Lab” e prontamente messo al lavoro sull’animazione dei personaggi. Trecento computer vennero impiegati contemporaneamente da una squadra di quarantotto animatori impegnati a portare in vita gli animali preistorici secondo una trafila completamente diversa da qualsiasi processo produttivo si fosse utilizzato fino a quel momento. I character design erano disegnati su carta e quindi scannerizzati per essere elaborati al computer come scheletri, e quindi fatti passare attraverso ben tre software diversi, ognuno dedicato a lavorare un aspetto preciso del personaggio, dalla muscolatura alle pellicce.

Contemporaneamente due troupe live-action hanno ripreso quasi 250 chilometri di pellicola in location, registrando tutti gli ambienti naturali in cui si sarebbe dovuta svolgere la vicenda. Anche in questo caso ci si dovette ingegnare per simulare il punto di vista dei dinosauri, soprattutto i colossali predatori e gli animali volanti. Per l’occasione fu quindi realizzata la dino-cam, un nome evocativo per quella che è, in realtà, una struttura composta da due torri alte poco più di venti metri con un cavo sospeso tra le sommità al quale era fissata una macchina da presa sorprendentemente mobile. In questo modo era possibile riprodurre le soggettive dei dinosauri e vedere il mondo con una prospettiva che non si aveva da diversi milioni di anni.

Il risultato di questo coraggioso accostamento fu un comparto visivo sorprendentemente notevole, ancora in grado di difendersi e di far apparire i successivi film in CGI come un passo indietro rispetto ai risultati qui ottenuti. Il livello di dettaglio è estremo, non solo nell’anatomia degli animali ma anche nella rappresentazione delle loro pelli, precise fino alla minima scaglia. Alcuni compromessi furono inevitabili, come la scelta di dare delle labbra agli Iguanodon invece dei becchi per consentire loro di parlare, ma si tratta di dettagli tutto sommato trascurabili nella resa generale del film. Un film che, tuttavia, soffre di una certa monotonia cromatica, dal momento che in diverse scene gli sfondi e i personaggi condividono le medesime tonalità rendendo talvolta difficoltosa la lettura della scena e impedendo a Dinosauri di brillare come le opere precedenti in quanto a composizione delle inquadrature e narrazione per sole immagini.

Il problema della numerazione.

Dinosauri fu accolto abbastanza bene dal pubblico, che premiò il film con un box-office non straordinario ma sufficiente a renderlo il quinto maggior successo del 2000. Un risultato sicuramente modesto, ma che premiò la scommessa della Disney di gettarsi a capofitto in un terreno che non gli apparteneva sfidando la ben nota diffidenza del proprio pubblico verso qualsiasi offerta considerata troppo distante dallo stereotipo del film con le principesse. Lo Studio avrebbe avuto ancora molta strada da fare per raggiungere il livello della concorrente Pixar, ma il primo passo era stato fatto, e si era rivelato molto solido. Meno affabile si dimostrò invece la critica, che lodò l’aspetto visivo del film e la resa dei dinosauri, ma criticò aspramente la trama e la sceneggiatura, considerandole noiose, prevedibili e prive di qualsiasi autentica sorpresa.

Ma Dinosauri si fa ricordare anche per un infausto merito, ossia essere alla base della diatriba, trascinatasi per anni, sulla numerazione dei Classici Disney. Fino a questo momento, tra i Classici erano annoverati i lungometraggi d’animazione o in tecnica mista realizzati dai Walt Disney Animation Studio, una definizione che si stava rivelando però molto restrittiva in un momento storico in cui la produzione animata Disney iniziava a diventare sempre più elefantiaca; a fare le spese di questa incertezza di attribuzione fu proprio Dinosauri, che in un primo tempo si vide negare lo status di Classico. Le motivazioni alla base di questa decisione non sono mai state chiarite, e si possono solo fare delle ipotesi: può essere stato per il fatto di aver avuto dei fondali ripresi dal vero per tutta la sua durata, cosa mai accaduta prima, per il fatto di essere stato a tutti gli effetti animato da uno studio succursale, il The Secret Lab, al contrario di tutti gli altri film precedenti, realizzati eventualmente da studi satellite ma sempre sotto l’egida del marchio Disney, oppure, infine, per l’uso della tecnica digitale, innovativa e non ancora considerata alla pari dell’animazione tradizionale.

Quale sia stato il motivo che mosse la dirigenza, Dinosauri non rientrò nel novero dei Classici, e si dovette attendere quasi dieci anni e l’arrivo di John Lasseter alla dirigenza perché venisse corretto questo errore. In quei pochi anni lo Studio era profondamente cambiato, e l’arrivo di Lasseter, conseguenza dell’acquisizione della Pixar da parte della Disney, aveva rivoluzionato l’animazione Disney portandola verso il digitale. In questa nuova prospettiva, Dinosauri rappresentò, ai loro nuovi occhi, il primo punto di partenza del nuovo stile Disney, e pertanto meritevole di ricoprire un posto all’interno del Canone ufficiale.

Marathon Day

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11 pensieri riguardo “Marathon Day: Dinosauri (2000)

  1. Ammetto di non averlo mai visto, mentre ho visto tutti i primi lavori della Pixar da bambina. Hai fatto un’analisi perfetta del film e ti dirò, mi hai fatto anche venire voglia di vederlo, da fedelissima dei classici Disney originali 🙂

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    1. Grazie!
      Io ammetto di non amarlo troppo, l’ho visto solo un paio di volte ma non è decisamente tra i miei preferiti di sempre. Comunque sicuramente vale la pena recuperarlo, secondo me, anche solo per vedere da dove nascono i film che fanno oggi.

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  2. Interessante! Devo ammettere che di questo non ero proprio a conoscenza, nonostante sia storico, a suo modo, come hai giustamente spiegato!

    Verhoeven proprio non ce lo vedo a fare un film di dinosauri, anche se come hai scritto sarebbe certamente stato molto più oscuro nei toni! :–)

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    1. sarebbe stato interessantissimo, secondo me! Non so perché ma mi immagino qualcosa nello stile di Dark Crystal – non so perché visto che non c’è nulla che avvalori questa mia idea, e non è nemmeno stop-motion, ma è l’immagine che mi sono fatto. Ma se sarebbe dovuto essere tutto come il prologo, sicuramente sarebbe stato molto bello.

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  3. Lo vidi al cinema, poi però non l’ho mai più visto. Ricordo che mi piacque ma era molto lontano lo stupore che ho provato con i precedenti classici anni ’90, e con i film Pixar usciti in quegli anni. Ricordo molto bene la monotonia cromatica, che giustamente hai sottolineato, e una trama un po’ incerta.

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    1. Soprattutto è stata la trama, per me, a lasciarmi molto freddo: è un film che non mi ha parlato in alcun modo particolare e non mi ha lasciato granché. I Classici anni 90 erano decisamente su tutto un altro livello!

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