Pochi film appaiono così stranamente fuori posto nella storia dei Classici Disney quanto Hercules, il 35esimo lungometraggio dello Studio uscito nel 1997. Hercules fa parte di quello che può essere considerato il Basso Rinascimento Disney, come Pocahontas e Il Gobbo di Notre Dame prima di lui, eppure condivide pochissime analogie con i suoi predecessori – e con i due film che lo seguiranno, e con i quali si concluderà questo decennio così fortunato. Dove Pocahontas e Il Gobbo di Notre Dame avevano scelto un registro molto serio e drammatico, infatti, Hercules utilizza la formula della commedia; mentre i predecessori raccontavano storie tutto sommato verosimili, questo porta in scena le vicende della mitologia greca, popolate di divinità immortali, eroi e mostri; se, infine, prima si era optato per uno stile visivo molto realistico, adesso si torna a immagini fortemente stilizzate e cartoonesche.

Insomma, Hercules sembra quasi un film a sé, ma può essere considerato il precursore di quella nuova fase della produzione disneyana che avrebbe avuto inizio da lì a un paio d’anni, una fase fortemente sperimentale che avrebbe portato autori e animatori a esplorare sempre storie nuove e nuovi registri linguistici. Un precursore, quindi, segno che era la formula del Rinascimento stava già velocemente esaurendosi e che gli artisti dietro la macchina da presa iniziavano a ipotizzare nuovi percorsi da poter intraprendere per farsi trovare pronti nel momento in cui sarebbe stato necessario cambiare radicalmente registro per non rischiare di ritrovarsi impantanati in un nuovo medioevo. Hercules appare infatti più simile a Le Follie dell’Imperatore piuttosto che a Il Gobbo di Notre Dame o Mulan, il film che lo avrebbe seguito, e anche il suo destino sarebbe stato sinistramente profetico: come i film della fase sperimentale, Hercules sarebbe stato un successo piuttosto mediocre, a discapito della grande qualità artistica del film.
Dee delle arti e proclamatrici di eroi.
L’idea per Hercules, sebbene ancora in una forma piuttosto diversa da quello che sarebbe stato il prodotto finito, come spesso accade, nacque nel 1992. Dopo i successi dei primi film del Rinascimento, artisti, autori e animatori vennero incaricati di proporre dei pitch per storie che avrebbero potuto diventare dei lungometraggi; ognuno di loro avrebbe avuto a disposizione solo due minuti per convincere la dirigenza, per cui la tensione era piuttosto palpabile. Dopo il fallimento della proposta di adattare l’Odissea in un film animato, l’animatore Joe Haidar propose timidamente un’altra vicenda ispirata alla mitologia greca, nella quale greci e troiani, impegnati nelle celebre guerra, avrebbero dovuto convincere Eracle a combattere per l’uno o per l’altra fazione. L’idea piacque abbastanza da essere accolta e sviluppata, ma senza l’intervento di Haidar, che, come è entrato, esce in punta di piedi dalla nostra storia.
Rientrano invece in scena Ron Clements e John Musker, la coppia di registi artefici del successo de La Sirenetta e Aladdin. Dopo aver concluso il lavoro su Aladdin, Clements e Musker erano tornati al loro progetto della vita, l’adattamento in chiave fantascientifica de L’Isola del Tesoro di Stevenson, iniziando a scriverne un trattamento e una sceneggiatura. Lo Studio, però, non vedeva ancora di buon occhio progetti così sperimentali, e il presidente Katzenberg propose loro un accordo dal sapore di ricatto: se i due avessero realizzato un altro film di successo, avrebbe dato il via libera al loro film. Clements e Musker valutarono diverse possibilità, tra cui Don Chisciotte e Il Giro del Mondo in Ottanta Giorni, e alla fine scelsero Hercules perché, come dichiararono, gli ricordava le storie di supereroi con superproblemi che entrambi amavano.

La trama di Hercules è molto densa e articolata. L’ispirazione è chiaramente quella del mito greco, ma gli sceneggiatori lavorarono sodo per rielaborare il tutto attraverso la poetica dello Studio, compito non facile dal momento che la storia di Eracle inizia con una scappatella extraconiugale di Zeus e termina con il suicidio dell’eroe, il tutto inframmezzato da follia, morte e l’odio immortale degli dei. Non proprio il classico canovaccio di un film Disney, per cui la prima scelta fatta fu quella di eliminare qualsiasi riferimento all’infedeltà di Zeus e rendere Hercules figlio suo e di Era, un cambiamento che ne provocò altri a cascata: Era, infatti, nel mito è l’antagonista principale di Eracle, che la dea odia perché frutto dell’infedeltà del marito, cosa che ora non avrebbe avuto senso riproporre. Resosi vacante il ruolo di villain, i registi scelsero come cattivo Ade, dio dell’oltretomba, per le suggestioni che l’ambientazione dell’aldilà avrebbe potuto fornire, soprattutto in contrapposizione con il celestiale Olimpo. Va sottolineato che nella mitologia greca Ade non è un dio malvagio, anzi, a conti fatti si macchia di molte meno efferatezze dei suoi parenti sull’Olimpo, né l’oltretomba greco è un luogo oscuro e tenebroso: quello è il Tartaro, la sua parte più profonda in cui sono prigionieri i Titani e altri mostri, ma l’Ade è composto anche da zone piacevoli come i Campi Elisi.
Coerentemente con i suoi personaggi, i temi del film sono decisamente solenni. Se la trama in sé si focalizza sulla titanomachia, cioè la guerra contro i Titani piuttosto che sulle celebri dodici fatiche, sbrigate con un montaggio veloce durante la canzone Zero to Hero, gli argomenti sono molti e complessi. Abbiamo, ad esempio, una donna che ha stretto un patto con il diavolo ed è costretta a compiere atti abominevoli per riavere la propria libertà, assistiamo a una serie di calamità mostruose o naturali che affliggono le persone senza sosta, e soprattutto seguiamo il viaggio di un uomo alla ricerca dell’immortalità, senza però sapere, all’inizio, in cosa questa consista davvero. Infatti Hercules cerca, almeno inizialmente, un’immortalità nel senso divino del termine, dal momento che vuole ritornare a vivere sull’Olimpo per ricoprire il ruolo che gli spetta per nascita, ma si trova invischiato in una diversa declinazione del termine quando, in seguito alle sue vittorie, diventa una celebrità. Si assiste quindi a un conflitto tra la superficialità della fama e le profonde implicazioni dell’essere un vero eroe, un ruolo che si scopre essere pregno di responsabilità e terribili scelte, come decidere di sacrificare la propria vita per salvare quella della persona che si ama; ecco quindi che il vero eroe è colui che sa mettere il bene degli altri davanti al proprio, spendendosi fino all’ultimo per proteggere i propri cari e le persone che dipendono dalle sue azioni. Un vero eroe è tale per le dimensioni del suo cuore, non dei suoi bicipiti.

Ma, come si diceva all’inizio, Hercules è prima di tutto una commedia, e Clements e Musker dimostrano di saper usare alla perfezione questo registro linguistico così complesso. Il film ha il tono scanzonato e divertito di una riuscitissima parodia della mitologia ellenica e del nostro mondo, due realtà apparentemente lontanissime ma che l’uso sapiente della satira riesce a sovrapporre alla perfezione. L’elemento sicuramente più riuscito in questo senso è, curiosamente, Ade, il villain, un dio potentissimo e malvagio ma, allo stesso tempo, anche il cattivo più divertente mai realizzato dalla Disney grazie alla sua parlata irresistibile e inesauribile e a dei tempi comici perfetti, da mattatore consumato. Accanto a lui sfilano una serie di maschere comiche tra le più riuscite di sempre, come il satiro Filottete o la bella e carismatica Megara; nessun personaggio e nessuna situazione è presa sul serio, ma tutto diventa l’occasione per dell’irriverente ironia sul nostro mondo contemporaneo, una tendenza che raggiunge il suo apice insieme alla fama di Hercules. Il nostro eroe, infatti, si trova suo malgrado a diventare quello che oggi chiameremmo un influencer, vittima di uno star system spietato che ne commercializza l’immagine e il brand in una riuscitissima parodia dello sfrenato capitalismo americano e della celebrazione (della divinizzazione, potremmo anche dire non a sproposito) delle personalità più in vista del momento.
Balliamo, ci baciamo, ci scateniamo, torniamo a casa felici.
Hercules è un film che può contare su uno stile artistico personale e immediatamente riconoscibile, composto da linee curve e spigoli: le immagini sono state studiate apposta per riprodurre le suggestioni dell’arte greca, soprattutto quella vasale, con un ampio uso della caricatura in modo diametralmente opposto a quanto realizzato su Pocahontas e Il Gobbo di Notre Dame. Artefice di questa erculea fatica fu l’illustratore inglese Gerald Scarfe, già famoso per la fortunata collaborazione con i Pink Floyd, per i quali realizzo le animazioni di The Wall, e scelto dai registi che notarono le affinità del suo stile con l’idea che avevano in mente per il film. Scarfe finì per realizzare più di settecento disegni durante la produzione del film, impostando lo stile di tutte le scene e i personaggi, che finirono per assumere le caratteristiche allucinate e vagamente sinistre dell’artista inglese; al film lavorò poi uno dei team più numerosi che si fossero mai visti, con ogni animatore principale supportato da circa una dozzina di artisti.

Dopo aver dato vita a tre ottimi villain (Gaston, Jafar e Scar), Andreas Deja rifiutò l’offerta di animare Ade e preferì invece il personaggio di Hercules per cimentarsi in una nuova sfida. Hercules è sicuramente il personaggio meno appariscente del film: è quello con le battute meno divertenti, con gli atteggiamenti meno istrionici e l’aspetto più tradizionale. Eppure Deja è stato in grado di caratterizzarlo con una particolare innocenza e goffaggine che non viene mai meno neppure dopo l’allenamento che ne scolpisce il fisico e il successo che ne consolida l’autostima, una purezza d’animo che traspare da ogni sguardo e che rende il suo personaggio teneramente comico. Il villain Ade fu invece animato da Nik Ranieri, il quale si trovò ad affrontare la sfida generata dal suo doppiatore, James Woods. Woods non era stato affatto la prima scelta di Clements e Musker, che contattarono diversi attori per la parte, tra cui Jack Nicholson, il quale però si tirò indietro quando lo Studio non accettò le sue folli richieste economiche. Dopo aver provinato diversi attori, i registi fecero leggere Woods e rimasero talmente incantati dalla sua interpretazione così teatrale da assegnargli la parte. L’animatore utilizzò il manierismo di James Woods durante le sessioni di registrazione per dare personalità ad Ade, ma si scontrò con la velocità con cui l’attore pronunciava le sue battute, talmente alta da rendere difficoltoso animare coerentemente il personaggio.Eric Goldberg, già animatore del Genio, si incarica qui di un altro personaggio fortemente stilizzato, Filottete, dandogli l’aspetto e la personalità del suo doppiatore Danny DeVito e creando un personaggio semplicemente irresistibile nella sua bonaria ruvidità. A completare il team di personaggi principali arriva poi Ken Duncan, che dopo aver supervisionato Thomas in Pocahontas si occupa adesso di Megara, forse la prima antieroina Disney: cinica, sarcastica e disillusa, Megara rappresenta un forte momento di discontinuità nella rappresentazione dei personaggi femminili, portando con sé una sensualità e un’amarezza finora sconosciuti.
La computer grafica ottiene con Hercules un momento per brillare di luce di propria grazie alla sequenza del combattimento contro l’Idra. Il gigantesco mostro è interamente realizzato in digitale: i disegni di Scarfe del mostro furono trasferiti al computer dal team di animazione digitale, mentre un modello in argilla dell’Idra fu costruita in scala e le sue dimensioni digitalizzate per avere un modello a tre dimensioni su cui gli animatori potessero lavorare più facilmente. Per la realizzazione della forma definitiva della creatura, dotata di trenta teste, gli animatori crearono un’unica testa come riferimento che il computer potesse replicare e modificare in scala a seconda della prospettiva e della distanza dall’obiettivo; in tutto, tredici animatori lavorarono un anno e mezzo per realizzare la sequenza di quattro minuti che la vede protagonista.

Da ultimo, un accenno alla colonna sonora. Hercules segna l’ultima collaborazione, per il momento, tra lo Studio e il compositore Alan Menken, che con le sue musiche aveva caratterizzato quasi tutti i film del Rinascimento. Per Hercules, Menken decise di scrivere una colonna sonora impostata sul gospel, un genere che affonda le sue radici nel canto religioso e quindi considerato appropriato per un film su dei ed eroi. Hercules è musicalmente uno dei film più ricchi del rinascimento, con moltissime canzoni e un ritmo sfrenato che non lascia un attimo di tregua nemmeno durante i brani più introspettivi, come Go The Distance, l’I want song di Hercules, o I Won’t Say, l’atipico brano d’amore di Megara. Ben due canzoni, poi, presentano dei montaggi veloci che riassumono diversi eventi nel corso del tempo: sono One Last Hope, che accompagna l’addestramento di Hercules, e Zero to Hero, che mostra la serie di successi di Hercules e la sfolgorante ascesa della sua stella. Sono entrambi momenti in cui lo storytelling disneyano dà ulteriore prova della sua efficacia, in un riuscitissimo mix di sintesi narrativa e comicità.
Ieri era zero, oggi è un guerriero.
Come già accennato all’inizio, Hercules non ebbe particolare fortuna al momento della sua uscita. L’incasso del film fu buono ma ben lontano dal potersi dire stellare, e considerato dalla dirigenza decisamente deludente se confrontato con i film precedenti – e con Il Re Leone soprattutto. Coerentemente, la critica accolse tiepidamente il film lodandone alcuni aspetti ma bocciandone altri senza possibilità di appello. La performance di James Wood, ad esempio, fu acclamata all’unanimità e considerata alla stregua del lavoro fatto da Robin Williams sul Genio; Ade fu anche salutato come l’unico personaggio memorabile del cast, che con le sue battute e la sua personalità costantemente sopra le righe ruba costantemente la scena anche al protagonista. Al contrario, lo stile visivo del film sollevò diverse perplessità e spietate critiche, considerato dozzinale e abbozzato, privo di eleganza e fascino; allo stesso modo, la colonna sonora fu giudicata come la più fiacca tra quelle di Alan Menken, priva di brani memorabili e tutto sommato anonima nonostante le particolari influenze prese come ispirazione.

Tutto questo non fece che allarmare la dirigenza, già preoccupata dalla ricezione non troppo convinta di Pocahontas e Il Gobbo di Notre Dame. L’insuccesso di Hercules, il film meno fortunato del Rinascimento, portò i dirigenti a interrogarsi sulla formula del Rinascimento stesso e sull’opportunità di proseguire su questa strada, ormai evidentemente troppo lontana dal gusto di un pubblico sempre più indifferente nei confronti dei kolossal fiabeschi in stile Broadway. Lo stile che aveva caratterizzato gli anni Novanta venne quindi rimesso in discussione e da questo momento avrebbe avuto le ore contate: soltanto Mulan avrebbe mostrato in tutto e per tutto le caratteristiche del Rinascimento, mentre già con Tarzan si sarebbero cercate nuove strade rinunciando, per prima cosa, ai grandi numeri musicali con le colossali coreografie che avevano dato personalità e carisma a questo decennio straordinario.
Il mio classico Disney preferito e uno dei pochi di cui possa dire senza riserve che mi piaccia! Forse proprio per la sua atipicità che fa storcere il naso a molti…
"Mi piace"Piace a 1 persona
Infatti anche a me ci sono cose che non vanno giù, come lo stile dei disegni: capisco quello che c’è dietro, ma proprio non mi piace! Invece le canzoni sono stupende, mi piacciono tutte. In generale è un film che rivedo sempre con piacere, ma non è tra i miei preferiti di sempre.
"Mi piace"Piace a 2 people
bellissimo film, poi zero to hero è un’opera d’arte, o I won’t save I’m in love
un film che si ricorda più per le musiche e i disegni che per la trama, però 😦
"Mi piace"Piace a 1 persona
Si, la trama è molto base e lineare, senza grandi sorprese. Però anche solo per le musiche, giustamente, vale la pena vederlo! (I disegni, come dicevo qui sopra, a me non sono mai piaciuti, nemmeno da piccolo 😕)
"Mi piace"Piace a 1 persona
Oddio. Pensavo fosse uno dei più grandi successi della Disney. Fu il primo film che vidi al Cinema. Mi piace moltissimo anche se è chiaramente hn film molto più scanzonato dei precedenti.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Anche io l’ho visto al cinema, ma il primo di cui ho memoria è stato Il Re Leone; avevo 5 anni!
Anche se è molto amato all’epoca purtroppo fu praticamente un fiasco, e non se lo meritava. Quando la Disney esce dal tracciato generalmente fa flop, anche se i film sono validissimi.
"Mi piace""Mi piace"