Rivers of London, di Ben Aaronovitch

Ho letto Rivers of London in quarantena, ma arrivo a parlartene solo ora perché, come ormai sai bene, sono sempre in ritardo cronico sulla mia vita, per cui va bene così. In realtà non è nemmeno malvagio come tempismo, dal momento che sono recentemente stati ripubblicati in italiano i primi due volumi della saga di cui fanno parte. La prima edizione italiana risale a diversi anni fa, ma si era interrotta al primo volume (I Fiumi di Londra, appunto) che era diventato praticamente introvabile; a me l’ha comprato un mio amico in vacanza a Colonia, e l’ho letto in inglese. Anche questa ristampa, comunque, si dimostra abbastanza sfuggente, dal momento che in nessuna delle tre librerie di Cremona ne ho trovato neanche l’ombra. Alla fine ho ordinato La Luna su Soho, il volume due, alla Mondadori, per cui, in attesa che arrivi, chiacchieriamo del volume uno.

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Protagonista del libro è Peter Grant, un agente di polizia che si ritrova immischiato per caso in un caso di omicidio venato di soprannaturale, dal momento che il testimone chiave da lui interrogato sulla scena del crimine risulta essere un fantasma. Venuto a sapere di questa circostanza, Peter viene avvicinato dall’Ispettore Capo Thomas Nightingale, l’ultimo Mago Inglese a far parte della polizia di Londra. Con le istruzioni di Nightingale, Peter inizia il suo addestramento nel mondo della magia, entrando in contatto con in numerosi spiriti che popolano Londra e addentrandosi sempre di più in un caso che sembra legato a un’antica leggenda popolare.

Sebbene l’urban fantasy sia il mio genere preferito di fantastico non ne sono un avido lettore; è più facile che lo assuma in dose da film o serie tv piuttosto che nel formato letterario. In Rivers of London, il fantasy assume le forme più disparate, inserendo il surreale, l’assurdo e il weird appena oltre la soglia di ciò che vediamo tutti i giorni e che chiamiamo, magari limitatamente, “realtà”. Il mondo creato da Ben Aaronovitch è veramente ricchissimo di potenzialità per adesso solo in minima parte esplorate, e riesce in quello che ogni buon narratore dovrebbe riuscire a fare, ossia, lasciarti con la voglia di averne ancora alla fine del libro. Ci sono i fantasmi, ci sono i mostri, ci sono creature non ben specificate ma che promettono di ampliare ulteriormente il parco di personaggi e razze a disposizione in modo da creare un universo narrativo in cui davvero tutto è possibile.

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L’elemento che più mi ha fatto impazzire sono sicuramente i fiumi che danno il titolo alla vicenda. Io adoro quando vengono antropomorfizzati concetti o idee, come succede in Sandman, ad esempio, e in Rivers of London a un certo appunto appaiono le personificazioni dei vari fiumi e fiumiciattoli che attraversano Londra (sì, anche a me ha stupito sapere che ce ne è più di uno). La diatriba famigliare tra Mama Thames e Father Thames, entrambi personificazioni del Tamigi, ognuno con la propria corte di tributari, è una ricca sottotrama che finisce per intrecciarsi molto presto con quella principale e che riescono a trasmettere il senso del magico e di un sacro ancora legato a un pagano legame con le forze della natura meglio di quanto possa fare qualsiasi altro elemento del romanzo – anche dei maldestri tentativi di Peter di padroneggiare i suoi primi incantesimi.

Rivers of London diventa quindi un curioso mix di generi, dal momento che, come già accennato, è anche e soprattutto un poliziesco procedurale. Sebbene il caso abbia degli evidenti connotati soprannaturali, la polizia, anche quella più abituata a trattare con la magia, lo tratta come una serie di omicidi normali, per cui assistiamo a un’indagine in piena regola che non ha nulla da invidiare a un episodio di CSI; l’unica differenza è che tra gli indiziati figurano spiriti malevoli, tra i testimoni fantasmi e creature bizzarre, e l’indagine si sposta avanti e indietro nel tempo fino a un passato molto lontano di Londra. Non ti voglio sciupare nessuna sorpresa per quanto riguarda l’indagine vera e propria, per cui cambio subito argomento, non prima, però, di un disclaimer: il modus operandi del colpevole raggiunge livelli apprezzabili di truculenza, con il sangue che scorre a litri e persone orrendamente sfigurate, per cui preparati a subire anche un’abbondante dose di violenza.

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Nonostante questo, e una trama decisamente densa e intricata, il libro riesce a non essere mai pesante grazie a una scrittura virata sui toni della commedia. Si parla spesso di british humor, e Ben Aaronovitch riesce a padroneggiare il difficile registro dell’ironia con grande abilità, camuffando nella comicità delle osservazioni molto sottili che quindi riescono a superare molto più facilmente la resistenza del lettore come con un cavallo di Troia. È il caso, ad esempio, dell’etnia del protagonista, figlio di un inglese e di una donna africana, un dettaglio sicuramente marginale nella narrazione ma che talvolta viene sottolineato commentando con una battuta pungente o un’osservazione amaramente ironica l’atteggiamento delle persone intorno a lui, e di cui lui stesso si sempre iperconsapevole; l’ho trovato un modo superbo di affrontare con intelligenza e senza pedanteria l’argomento razzismo, utilizzando il paradosso invece della leziosità.

Tutto il libro, comunque, è intriso dell’umorismo di Peter Grant, che narrando la vicenda in prima persona riesce a illuminare tutto con il suo personale punto di vista, dimostrandosi un protagonista dalla cui parte è naturale stare e al quale si finisce inevitabilmente col volere bene. L’unico vezzo stilistico che, a lungo andare, è diventato per me come il suono delle unghie sulla lavagna, è l’abitudine di ripetere costantemente, dopo quasi ogni linea di dialogo “I said” o “he/she said”; tutte – le -volte! Questo è particolarmente evidente nei dialoghi più concitati e con battute piuttosto brevi, per cui diventa come una cadenza, una sorta di ritmo costante che fa l’effetto di una goccia che cade nel lavandino; l’ho trovato insopportabile!

Nonostante questo, però, Rivers of London è un ottimo romanzo, una bella storia raccontata con grande abilità. Spero che si diffonda di più nelle librerie, ma se anche volessi affrontarlo in inglese ti assicuro che si tratta di una lettura fattibilissima: le frasi non sono mai particolarmente contorte, e il lessico è abbastanza comune – tolto quello tecnico della polizia, ovviamente, ma è l’unica cosa che potrebbe richiedere un vocabolario. Come avrai capito è un libro che ti consiglio moltissimo, è leggero, è divertente, un buon mistero condito con del fantasy non scontato e diverso da quello che si vede di solito. E ora, inizia la mia logorante attesa del secondo volume…

7 pensieri riguardo “Rivers of London, di Ben Aaronovitch

    1. In effetti da noi non è famosissimo; se poi nelle librerie non lo espongono non lo diventerà mai!

      C’è anche da dire che purtroppo ha scelto un pessimo tempismo per uscire da noi, in piena pandemia o appena dopo!

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