Dopo il successo di Biancancaneve e i Sette Nani, gli Studios entrarono in un momento di grande fermento creativo: all’improvviso tutto sembrava possibile, qualsiasi sogno poteva realizzarsi grazie al talento degli artisti e alle visioni sempre più magnifiche e grandiose di Walt Disney. Molti progetti furono subito messi in cantiere, ma fu solo verso la fine della lavorazione di Biancaneve che il nuovo film iniziò a prendere corpo. A Walt Disney venne sottoposto il romanzo Le Avventure di Pinocchio, dello scrittore italiano Carlo Collodi, e ne fu talmente entusiasta da iniziarne subito la produzione mettendo in pausa quella di Bambi, che stava mettendo in difficoltà gli animatori a causa del realismo richiesto nel disegnare gli animali protagonisti.
Il secondo film è sempre il più difficile
Sicuramente non è stato semplice ripartire dopo il successo di Biancaneve, un risultato aspirato ma che nessuno si aspettava davvero nelle sue proporzioni. L’ansia da prestazione, nonostante la sicurezza che Disney non ha mai tradito, deve essere stata altissima, e forse anche per questo si optò per una storia molto diversa dalla precedente – e che, conseguentemente, presentasse sfide molto differenti. Se Biancaneve era una fiaba tradizionale che offriva un semplice canovaccio da rielaborare a piacimento, Le Avventure di Pinocchio era un romanzo a tutti gli effetti, pur con i suoi difetti, come la natura episodica, frutto della sua origine a puntate, e il messaggio già arcaico e molto lontano dalla mentalità statunitense.
Disney, che del libro aveva immediatamente apprezzato soprattutto il messaggio di fondo piuttosto che la narrazione, decide subito per un adattamento molto libero della vicenda, che sia vicino al racconto originale come spirito ma non gli sia fedele nella trama né nello sviluppo dei personaggi. Walt fu sempre molto chiaro circa la sua politica sugli adattamenti: a lui interessava realizzare dei buoni film, non delle opere filologicamente fedeli alla fonte d’ispirazione, e Pinocchio sicuramente rientra tra gli adattamenti più liberi che gli Studios fecero di romanzi e racconti, con il materiale scrupolosamente selezionato e l’inserimento di elementi originali, come la stella dei desideri, simbolo della provvidenza.
Certo è che il romanzo, con la sua natura sconnessa, ben si prestava a operazioni di questo tipo. Dal testo, Disney estrapola gli episodi più significativi, quelli diventati universalmente più celebri e i personaggi che meglio si prestavano ad incarnare diversi significati simbolici e a scandire il percorso di formazione del protagonista: il Gatto e la Volpe, Mangiafuoco, Lucignolo nel Paese dei Balocchi e la colossale balena rappresentano ognuno degli importanti momenti di crescita per il piccolo burattino, ora coinvolto in una storia meno rocambolesca ma dotata di maggiore coesione e con una destinazione molto più chiara di quanto avesse in mente Collodi nel momento in cui aveva iniziato a scrivere. Una coesione che deriva anche, e soprattutto, dal lavoro fatto sui personaggi. Il Grillo Parlante, ad esempio, ottiene un ruolo molto più ampio rispetto al libro, in cui finisce impietosamente ucciso da Pinocchio nei primi capitoli, per diventare ora non solo il suo compagno di avventure, ma anche il narratore dell’intera vicenda, diventando il primo modello di quell’ampia categorie di spalle comiche incaricate di alleggerire la tensione e supportare il protagonista durante le sue avventure.
Sicuramente il lavoro di rielaborazione più massiccio fu dedicato al protagonista stesso. Pinocchio esce completamente modificato dalla penna degli autori, interpretato come un bambino innocente che si affaccia con candore alla vita; Pinocchio rappresenta l’entusiasmo e l’ingenuità di qualcuno che scopre il mondo per la prima volta, che trova tutto affascinante e magico perché tutto è nuovo, ma, per lo stesso motivo, non è ancora in grado di distinguere il bene dal male o individuare il pericolo in agguato. Pinocchio perde così la sua caratterizzazione originale di cinico e malizioso burattino, che non esita a farsi beffe del padre, a uccidere il Grillo in uno scatto d’ira e ad approfittarsi della bontà della fata per soddisfare i propri capricci, ma al tempo stesso perde anche a sua carica anarchica e rivoluzionaria di sovversione delle regole e dei ruoli sociali. Un personaggio più amabile e più semplice da accettare come modello, quindi, ma al tempo stesso anche più convenzionale e meno sfaccettato, meno interessante.
Le macchine viventi
Il lavoro più straordinario fatto su Pinocchio, però, non coinvolge tanto la sceneggiatura quanto la tecnica dell’animazione. Se con Biancaneve gli artisti dello Studio avevano trovato il modo di animare in modo convincente personaggi umani e animali in un ambiente tridimensionale, la sfida si sposta ora sugli oggetti inanimati e sugli effetti naturali. Il primo problema che gli animatori si trovarono ad affrontare fu di portare in vita un protagonista che non fosse umano. Se nel caso di Biancaneve l’idea era quella di prendere per ispirazione le illustrazioni dei libri di fiabe, stavolta le illustrazioni di Pinocchio furono di scarso aiuto, dal momento che rappresentavano una marionetta realistica impossibile da animare. I primi studi sul suo personaggio recuperavano questo immaginario, ma Disney bocciò questi primi bozzetti giudicando che nessuno avrebbe potuto simpatizzare con lui; fu solo dopo una serie di ripensamenti che gli artisti trovarono la soluzione, giungendo a un design simile in tutto e per tutto a quello di un bambino vero con tratti legnosi su braccia, gambe e nel celeberrimo naso. Questo aspetto più innocente fornì anche l’ispirazione per rielaborare il personaggio, caratterizzandolo con la purezza e il candore che lo contraddistingue.
Un processo simile avvenne per il Grillo Parlante, che passò, in seguito a tentativi successivi, dall’essere un grillo realistico a un omino elegante e accattivante che potesse generare simpatia, mentre Geppetto presenta ancora il design quasi macchiettistico che aveva caratterizzato i personaggi delle Silly Symphonies fino a poco tempo prima. In tutto questo spicca l’aspetto della Fata Azzurra, per cui gli animatori hanno utilizzato nuovamente la stessa modella che aveva interpretato Biancaneve nei filmati di riferimento; il fatto che il suo aspetto sia stato molto poco rielaborato rende molto riconoscibile l’identità dell’attrice, impedendo al personaggio di esibire un’identità originale e personale che la distinguesse e le permettesse di rendersi memorabile a fronte di una sceneggiatura che la usa solo come deus ex machina.
Ma, appunto, la sfida principale avrebbe coinvolto gli oggetti inanimati, segnando un altro rivoluzionario passo avanti del modo dell’animazione. Per la prima volta vengono animati macchine e meccanismi, carri e navi, il tutto con effetti talmente realistici da sembrare veri; un realismo spesso ottenuto con grande lavoro e fatica, usando anche in questo caso riprese dal vero meticolosamente studiate per riprodurre un movimento il più verosimile possibile. Su tutto, spicca probabilmente la grandiosa scena iniziale nel laboratorio di Geppetto, con decine di orologi a cucù meccanici animati singolarmente in decine di modi diversi. Allo stesso modo una grande attenzione venne posta sull’animazione degli elementi inanimati, come i fenomeni naturali. A questo proposito non si può non parlare della magnifica sequenza sottomarina, l’ultimo degli scenari delle avventure di Pinocchio. Cinquant’anni prima de La Sirenetta, gli animatori realizzarono un ambiente sottomarino suggestivo e credibile semplicemente con un’accorto uso delle prospettive e del colore: gli elementi, come i pesci o le piante marine, sono sempre più dettagliati più sono in primo piano, e dai tratti sempre più vaghi man mano che si allontanano sullo sfondo, per poi svanire del tutto; ciascuno di essi, poi, venne ricalcato più e più volte in blu e in nero per dargli maggiore profondità. Il risultato è un’ambientazione suggestiva e tridimensionale, immersiva nel vero senso della parola, scultoreo ma, al tempo stesso, realistico, il tutto semplicemente con alcuni accorgimenti cromatici e tanta abilità.
Un classico sottovalutato
Se Biancaneve e i Sette Nani è una fiaba a tutti gli effetti, Pinocchio è un racconto di formazione che mette in scena la crescita e l’evoluzione del suo protagonista. In questo senso, si tratta di un’opera rivolta a una platea potenziale molto più vasta di quella a cui era dedicato il film precedente, nel tempo riservato quasi esclusivamente a un pubblico femminile che desidera vedere in scena la propria principessa. Il Pinocchio di Walt Disney rifiuta il moralismo antiquato del film originale per mettere in scena il duro lavoro, la costanza e il sacrificio necessari per avere successo nella vita e ottenere quello che si desidera; l’elemento soprannaturale, la provvidenza, aiutano, certo, ma poi è responsabilità di Pinocchio darsi da fare per dimostrare il suo valore. La storia originale è riletta sotto una lente tipicamente americana, scrivendo una celebrazione dell’individualismo e dei valori della classe media cui lo stesso Walt apparteneva: lavora sodo, sii giudizioso, e avrai successo.
Pinocchio non solo regge alla perfezione il confronto con Biancaneve, ma in alcuni casi supera addirittura il film precedente. È un’opera molto più varia, dal ritmo più incalzante e dalle influenze più diversificate; ha un umorismo meno infantile ma ugualmente irresistibile, e presenta una varietà di generi al suo interno che la storia di Biancaneve non permetteva. Ci son elementi di mistero e di thriller, ambientazioni sinistre e personaggi inquietanti che arricchiscono molto il sapore del film. Pur mancando un villain principale, ognuno dei personaggi secondari che Pinocchio incontra si rende indimenticabile, soprattutto il temibile Postiglione, incarnazione di tanti spauracchi che tormentano i sogni di bambini e adulti, pronto ad accattivarsi il favore dei bambini con dolci e promesse di divertimento per poi rapirli; è il momento in cui la metafora dell’ignoranza, esplicitata dalla figura degli asini, ne copre un’altra, forse più sottile ma altrettanto inquietante, che parla di pedofilia e violenza. Tematiche oscure, che rendono il film molto più stratificato di quanto fosse Biancaneve.
Eppure, Pinocchio non seppe replicare il successo dell’opera prima. Nonostante le entusiastiche recensioni, la chiusura dei mercati esteri a causa della Seconda Guerra Mondiale e la perplessità del pubblico, che non si aspettava un film così diverso dal precedente, fecero sì che il film non fosse un successo commerciale, con un ricavo inferiore a quello di Biancaneve e al di sotto delle aspettative dello Studio. Questo fece sì che Pinocchio, nonostante le continue riedizioni, non fosse mai davvero celebrato nemmeno in epoca moderna, restando ingiustamente nell’ombra: difficilmente figura tra i più amati o i più influenti, nonostante l’enorme valore artistico che presenta.
Molto interessante leggere questi retroscena sulla creazione del film. Apprezzo molto la rubrica!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Mi fa piacere! 😄
"Mi piace"Piace a 1 persona