Che sia per meriti suoi o per il clamore mediatico che ha generato, Black Panther è stato uno dei film più importanti del 2018, capace di estremizzare qualsiasi posizione da chi lo ritiene un capolavoro della settima arte a chi lo considera invece poco più che spazzatura. E’ diventato anche delicato parlarne, dal momento che molto spesso la conversazione prende una piega razziale scivolosa che rischia di degenerare facilmente in politica spicciola e insulti; per dire, ho perso il conto di quante volte mi sia già preso del razzista criticando questo film. Resta il fatto che, a mio parere, è stata proprio questa tematica a garantire il successo a un film che, altrimenti, sarebbe considerato nella media, quantomeno nella media del genere cui appartiene, o addirittura mediocre.
Il film inizia poco tempo dopo gli eventi di Civil War. Dopo la morte del padre T’Chaka, il principe T’Challa torna nel regno nascosto di Wakanda per diventare re ed essere ufficialmente investito dei poteri di Black Panther. Insieme a lui, però, tornano anche diversi personaggi destinati a portare scompiglio nel regno, come il mercante d’armi Ulysses Klause, intenzionato a rubare il vibranio, minerale alla base della potenza tecnologica e militare del Wakanda, e, soprattutto, Erik Killmonger, letale pretendente al trono che sfiderà T’Challa in una lotta senza esclusione di colpi dall’esito incerto. A repentaglio non c’è solo il trono del Wakanda, ma anche il destino del mondo, pronto a bruciare nel fuoco della vendetta contro i colonialisti bianchi.
C’è da dire che questi Oscar sono riusciti a ricamare una certa continuità tra i film selezionati, e in questo caso si possono notare diverse affinità con BlacKkKlansman di Spike Lee. In entrambi i film, infatti, non solo è centrale il tema del razzismo e del rapporto conflittuale tra etnie che condividono secoli di relazioni complicate, giusto per usare un eufemismo, ma ci si concentra sull’odio dal punto di vista della comunità afroamericana. Come in BlacKkKlansman, anche in Black Panther si dà voce al desiderio di rivalsa e vendetta nei confronti di un occidente cinico e prevaricatore, che ha sfruttato – e continua a sfruttare – l’Africa per il suo vantaggio personale disinteressandosi delle vite che distrugge irrimediabilmente; le parole di Killmonger di odio sono molto simili a quelle delle Pantere Nere di Lee, entrambi decisi a dare fuoco a una miccia capace di generare caos e violenza in un mondo già lacerato dai conflitti. Quello che differenzia i due film, però è la regia, perché laddove Spike Lee punta il dito e critica aspramente l’odio della sua comunità, Ryan Coogler si fa invece trionfalistico, come a portarci a tifare per l’odio di Killmonger rappresentato come il Messia della rivalsa afroamericana. Una rivalsa, però, ovviamente soffocata da T’Challa, che si fa invece portatore degli ideali liberals che gli USA hanno riscoperto di amare negli ultimi due anni; ecco allora che la contrapposizione tra Black Panther e Killmonger diventa una dialettica tra ideologie diverse, ampiamente esplorate e argomentate nel corso del film, imboccando allo spettatore una conclusione a cui invece Lee riesce a far arrivare il pubblico in modo molto più raffinato e potente, aiutando le persone a riflettere da sole invece di servire loro una minestra già pronta.
Questo è, soprattutto, l’elemento che più mi ha fatto rivalutare in negativo questo film, la sua natura così esasperatamente retorica, una retorica grezza e maldestra che fa a tratti somigliare il film a un comizio politico dall’esito già scontato piuttosto che a un epico racconto sul peso delle eredità e il valore di quanto costruiamo per il futuro. Un impegno politico che finisce per monopolizzare l’attenzione tanto dei personaggi quanto degli spettatori, facendo sì che Black Panther diventi il più impegnato dei capitoli del Marvel Cinematic Universe ma, al tempo stesso, anche il meno elegante e raffinato. Tutto viene esposto, soprattutto le conclusioni, impedendo al pubblico di formarsi un’opinione propria ma obbligandolo a fare sua la tesi del film, con una presunzione e un’arroganza insolite per un film Marvel.
Un peccato, visto che di potenzialità ce ne erano molte. Intendiamoci, nulla di inedito o mai visto prima, ma Black Panther si inserisce in quella tradizione di racconti di formazione in cui è molto semplice, anzi, quasi immediato, immedesimarsi, vedendo un giovane protagonista intraprendere la strada che lo porterà a scoprire e ricoprire il suo posto nel mondo. T’Challa, tornando a casa, si scontra con il lascito del padre ed è costretto a misurarsi con una figura che ha assunto, nella sua percezione, proporzioni enormi, salvo riscoprirlo solo un uomo nel momento in cui finalmente i due si confrontano. Ma è soprattutto Killmonger a reggere il peso del film, sia per la forza del personaggio sia per il talento dell’attore, un Michael B. Jordan già sula cresta dell’onda per il precedente Creed; é lui a dare davvero un’anima al film, con il suo ritratto di un villain maledetto che si sente costretto dalle circostanze, più che dalla cattiveria a prendere le armi contro i suoi fratelli in nome di una causa molto più grande del Wakanda. Un antieroe tragico, quindi, cui però la sceneggiatura non riesce sempre ad esaltare i punti di forza costringendolo in dialoghi fin troppo melodrammatici e, a costo di ripetermi, retorici, con un copione che sembra voler imitare la grande tradizione tragica fallendo però miseramente nel suo tentativo.
Si salvano la bellissima fotografia, che dipinge il mondo di Black Panther di colori meravigliosi soprattutto nelle scene oniriche in cui lo spirito di T’Challa si ricongiunge con quello dei suoi antenati, e le scelte di cast, composto per la maggior parte da ottimi attori sia nei ruoli principali che secondari. Troppo poco, però, per giustificare il clamore mediatico generato da questo film, forse uno dei più sopravvalutati dell’anno scorso. Fanno sorridere le sue sette nomination all’Oscar, tra cui il miglior film, candidature che sembrano infilate a forza nelle varie categorie talvolta rubando la scena a concorrenti che lo avrebbero meritato maggiormente. Fosse per me, le sue possibilità di vittoria sarebbero inesistenti, ma già è chiaro che qualcosa se lo porterà a casa; resta solo da capire quale premio ruberà a chi.
Per consolarci ti ricordo che QUI trovi la lista degli altri candidati più meritevoli ai prossimi Premi Oscar.
Non l’ho visto ma in effetti immaginavo che ci fosse stato troppo clamore ingiustificato.
Ad ogni modo bella recensione, come al solito.
Magari lo recupero nelle prossime settimane e tornerò a leggere di nuovo la tua recensione per vedere se le nostre opinioni coincidono! 😊
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Grazie! Ti aspetto per confrontarci quando lo avrai visto!
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Io l’ho evitato perché non ne posso più di questi film Marvel e DC tutti uguali, ma la tua recensione conferma quello che penso: se ne è parlato tanto soprattutto per il fattore razzismo, che negli Stati Uniti sta al centro dei riflettori in una maniera diversa rispetto a qui in Europa e molto più prominente. Ma non ho nessuna curiosità di vedere sto Black Panther…
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Allora te lo sconsiglio, perché il canovaccio di partenza è qualcosa di già visto e rivisto. Per fortuna a me i supereroi non hanno ancora stancato, anche se li preferisco in versione “amichevole Spider-Man di quartiere” piuttosto che “superuomini che salvano la galassia”; ma anche se mi diverto ancora un mondo, Black Panther è veramente un prodotto quantomeno mediocre, che punta tutto sull’attualità per restare memorabile. Il che in sé non è neanche sbagliato; quello che ritengo sbagliato è che l’importanza sociale valga più del valore artistico, portandolo ad avere riconoscimenti che assolutamente non merita. Ma vedo che qui siamo più o meno tutti allineati.
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Assolutamente sì!
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