In Texas, due fratelli rapinano piccole banche per saldare un debito contratto dalla madre con una banca, che intende pignorare il terreno della sua fattoria per sfruttarne il giacimento di petrolio. Sulle tracce dei fratelli si mette un ranger prossimo alla pensione, che sceglie queste rapine come ultimo caso prima di ritirarsi.
Se La La Land era un dramma mascherato da commedia musicale, Hell or high water è un dramma ancora più potente nascosto sotto una patina da film d’azione. Se lo strato superficiale del film racconta di rapine, inseguimenti, sparatorie e truffe, coinvolgendo con una trama molto avvincente che si sviluppa seguendo due binari paralleli che solo nel finale finiscono per incrociarsi, ad un livello più profondo racconta una drammatica storia di riscatto, di lotta disperata contro un mondo in rovina che cerca in tutti i modi di sopraffare il più debole, e di speranza alimentata contro ogni ragionevole previsione o, al contrario, persa definitivamente in uno sguardo nichilista verso un mondo allo sfascio.
L’ambientazione qui è fondamentale. Hell or high water è un grande film d’atmosfera capace di generare e trasmettere una sensazione e uno stato emotivo prima di raccontare una storia. In questo caso, dominano gli sconfinati paesaggi naturali del Texas e del deserto americano, arsi dal sole e desolati; una wasteland maestosa e inospitale allo stesso tempo, sconfinata nella piattezza di un orizzonte sempre uguale a sé stesso e martirizzata dalle pompe degli impianti petroliferi che punteggiano il brullo territorio in cui si muovono Toby e Tanner, disperati e disillusi come le loro città.
Lo stile di riferimento è ovviamente quello del western, ma rielaborato alla luce della contemporaneità per creare una nuova mitologia della frontiera in cui banditi e sceriffi si muovono spinti dal medesimo sistema che finisce per strangolarne le esistenze. Da un lato, infatti, i fratelli si trovano a combattere il sistema bancario americano, cinico e senza scrupoli, da cui erano stati truffati, imbastendo una pericolosa truffa che mira letteralmente a ripagarli con la loro stessa moneta; dall’altro, Marcus è uno sceriffo ormai alla fine della sua carriera, quasi spinto verso la pensione da un ufficio che sembra non avere più bisogno di lui, e in fondo non sembra impegnarsi così tanto per arrestare Toby e Tanner, forse per simpatia nei loro confronti o forse come tentativo di rimandare il più possibile il momento in cui dovrà lasciare il lavoro che è stato tutta la sua vita.
Tutto è in decadenza, tutto è in disfacimento, dalle città, poco più che baracche in rovina, alle persone. L’aura crepuscolare ricopre tutto il film dandogli un’atmosfera da fine del mondo ed estinzione della civiltà, nelle sue vestigia fisiche e mentali, rappresentate dalla cameriera del diner, apparentemente folle e trasandata, che coinvolge Marcus e Parker in una conversazione surreale sul cibo. Questa nuova poetica, che recupera alla perfezione lo spirito western, potrebbe anche essere l’inizio di un tentativo di narrazione del mondo post – crisi economica, dal momento che coinvolge direttamente il sistema bancario, le sue macchinazioni e le conseguenze che il fallimento dell’american dream ha avuto sulle vite dei protagonisti. In questo modo, Hell or high water diventa ancora più interessante, rappresentando l’inizio di una simbolica presa di distanza dalla crisi per osservarla e raccontarla, seguendo le orme de La grande scommessa dell’anno scorso, e come avviene per ogni evento storico di portata globale e devastante: dopo un periodo di assestamento in cui cucire le ferite, inizia l’opera di narrazione che permetterà di rielaborare il trauma analizzandolo da tutte le sue prospettive per ricavarne un senso.
E’ un film in cui dominano i confini, soprattutto quelli invisibili e apparentemente invalicabili che dividono le persone. Ognuno è chiuso nella propria solitudine e nella propria misera, irraggiungibile e anestetizzato, separato dagli altri da questa barriera di dolore che ognuno crede di essere il solo a sopportare sulle proprie spalle, ma che in realtà è un fardello condiviso da tutti. Il rapporto tra i due fratelli diventa simile ad un’alleanza momentanea, un associarsi per raggiungere un obiettivo più grande, tant’è vero che, nel momento in cui l’operazione può dirsi conclusa, i due si separano intraprendendo strade, e destini, opposti. Anche lo sceriffo, amareggiato, solo e disilluso, non riesce a concepire altro rapporto con il suo collega che non significhi allontanarlo, impedendogli, e impedendosi, di affezionarglisi usando un linguaggio pieno di frecciate razziste e dolorose; nel finale diventa evidente che Marcus non è riuscito a mantenere le distanze emotive con lui, e che in realtà gli voleva molto bene, ma nel frattempo ha cercato di impedire in tutti i modi che questa cosa accadesse.
Alla fine, tuttavia, non è questo pessimismo a trionfare, ma la speranza: in mezzo a questa rovina, c’è pur sempre qualcuno che lotta, che ha la forza di pensare al futuro e rischiare il tutto per tutto per garantire un futuro migliore ai propri figli. In fondo, anche se per noi può essere troppo tardi per cercare una salvezza o una redenzione, forse per chi verrà dopo c’è ancora speranza, e questo pensiero è sufficiente per andare avanti.
Tecnicamente, Hell or high water è quasi impeccabile. Forte di una sceneggiatura robusta e scritta molto bene, che veicola il suo messaggio senza forzarlo nella mente dello spettatore, gode di una serie di interpretazioni eccezionali e toccanti, per cui ogni attore dimostra di essersi speso anima e corpo per dare ancora più spessore alla storia. Il montaggio, poi, è molto particolare, dal momento che è sempre molto lento e disteso, contemplativo, ma gli stacchi giungono sempre nel momento giusto, facendo durare ogni inquadratura il tempo adatto senza tirarla troppo in lungo o affrettare il ritmo; ti dà veramente l’impressione di essere accompagnato passo passo nella storia senza fretta ma senza perdere tempo, come se il regista sapesse esattamente quanto durerà il viaggio e si premura di fartelo godere.
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