Manchester by the sea

Lee Chandler vive a Boston conducendo una vita isolata e senza prospettive. Un giorno il fratello muore improvvisamente, sebbene non inaspettatamente, e Lee deve tornare nella sua città natale per occuparsi della burocrazia del funerale nonché del nipote, Patrick.

Finora tutti i film candidati agli Oscar si erano dimostrati capaci di trasmettermi qualcosa, di offrirmi un piacere che andava oltre alla pura perfezione tecnica o ad una storia abilmente narrata. Tutti si erano dimostrati in grado di comunicarmi qualcosa e di ispirare sensazioni o riflessioni, e mi sorprendevo a ripensarci anche molto tempo in seguito alla visione; in questo, Manchester by the sea fallisce miseramente. Questo film ha ottenuto, per me, il peggiore dei risultati, mi ha lasciato indifferente: per tutte le due ore abbondanti di durata non ho sentito un’emozione, alcun coinvolgimento o desiderio di saperne di più, e non riesco a capire se è colpa mia o se effettivamente sia il film ad essere piatto.

Il problema, infatti, è che il film non è fatto male, anzi: è scritto molto bene, e presenta alcuni spunti molto interessanti e potenzialmente molto drammatici che, in teoria, avrebbero tutte le carte in regola che farti sciogliere in lacrime. Eppure, qualcosa gira a vuoto, e le scene si susseguono una dopo l’altra senza che nulla rimanga e faccia presa, e non riesco a individuare quale sia il problema.

Un primo colpevole potrebbe essere la regia, che mi sembra davvero impersonale: Kenneth Lonergan, anche autore della sceneggiatura, sembra raccontare una storia senza approfondire davvero, senza indagare fino in fondo i personaggi e il loro dolore. I campi sono sempre piuttosto lunghi, con pochi primi piani, e il montaggio ha tempi molto distesi, anche se non eccessivamente lunghi. La piattezza della regia va di pari passo con la fotografia, uniforme e privo di ombre, dove tutto è perfettamente illuminato; non c’è chiaroscuro, e l’immagine perde di spessore e profondità, togliendo ulteriormente stratificazioni alla storia.

Anche il cast non è riuscito a convincermi. Casey Affleck è inespressivo e piatto nella sua interpretazione come le immagini sullo schermo; usa lo stesso tono per tutte le sue battute e lo stesso sguardo in qualsiasi situazione si trovi ad affrontare. Il giovane Lucas Hedges se la cava decisamente meglio, sebbene anche la sua recitazione sia sempre molto contenuta e non si abbandoni mai a devastanti attacchi di emotività.

Forse il problema è proprio qui. Manchester by the sea è un film che parla del lutto, della morte di una persona molto amata da tutti i protagonisti, ma mette in scena un cordoglio molto particolare. Intanto, racconta di una morte già prevista e considerata come imminente, per cui risulta dolorosa ma non devastante come avrebbe potuto essere il decesso improvviso di un padre o di un fratello. Lee e Patrick erano già pronti da tempo a questa eventualità, e quando si verifica riescono ad approcciarvisi con un distacco piuttosto clinico.

In secondo luogo, la reazione è letta da un punto di vista molto maschile, più che la risposta al lutto in generale il punto sembra essere la fragilità dell’uomo (inteso come maschio) di fronte alla morte e ai fantasmi del passato. Appare quindi tutto molto composto, i protagonisti si tengono tutto dentro ed esprimono molto poco dei loro sentimenti, ma se questo, in Moonlight, non precludeva allo spettatore di conoscere Chiron molto in profondità, la stessa cosa non si ottiene in Manchester by the sea, che sembra fermarsi ad un livello estremamente più superficiale. Il dolore emerge solo a tratti, come nell’ossessione di Patrick del fatto che il corpo del padre venga conservato in un freezer fino alla primavera, mentre per il resto del film la vita scorre tranquilla, senza traumi o conseguenze apprezzabili sui personaggi.

Mi è piaciuto molto il fatto che Lee sia perseguitato da un trauma così profondo da non poter essere sconfitto, mancando quindi l’occasione di redenzione che il destino sembra offrirgli; in questo l’ho trovato tristemente realistico e verosimile, dal momento che la colpa di cui si macchia il protagonista è al tempo stesso talmente veniale e così enorme da sfuggire a qualsiasi logica e condizionare un’intera vita, destinata a trascorrere sotto il peso di un rimorso intollerabile e senza fine. Anche questo aspetto, però, si concretizza solo in una battuta sul finale – un momento molto bello e toccante ma, di nuovo, troppo poco.

Sembra quasi che il film voglia giocare sempre sul piano dell’implicito e del suggerito senza riuscire tuttavia nel suo intento. Ripeto, ho trovato la sceneggiatura molto valida, ma forse avrebbe avuto bisogno di altri attori più capaci per dare corpo a questa storia messa in scena in modo così particolare. Per come si è concretizzato, Manchester by the sea resta per me un’occasione sprecata e il film meno riuscito di questi Oscar 2017.

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